Gino Strada, ci lascia il fondatore di Emergency
La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno a squarciare una calda giornata di agosto. Gino Strada, il fondatore di Emergency è morto a 73 anni. Dal 1994, la sua Ong ha operato e continua ad operare su tutti i territori martoriati da guerre, pandemie e disastri naturali, assicurando gratuitamente cure mediche, posti letto, infermieri e medici che attualmente lavorano in 18 Paesi del mondo.
Gino Strada ha sempre detto ciò che pensava della guerra, di certa politica e della sanità privata, argomento che è tornato in auge durante la pandemia di Covid-19, dove la stessa Emergency è stata ed è in prima linea. Critico nei confronti dei vari governi italiani che hanno autorizzato “missioni di pace” e critico nei confronti della corruzione che mette a repentaglio la qualità dell’assistenza sanitaria e soprattutto feroce contro i signori delle armi che vendono materiale bellico alle nazioni in guerra.
Se si vuole conoscere bene Gino Strada bisogna leggere i suoi due libri: “Pappagalli Verdi” e “Buskashì” nei quali viene racconta direttamente cosa e come funziona Emergency, ma soprattutto si scopre cosa comporta alla popolazione civile subire un conflitto, quali sono le conseguenze e come si muore quando si prende in mano uno di quei “pappagalli verdi” che da il titolo al suo primo libro.
Con Gino Strada l’Italia perde un simbolo di pace, una persona che ha lavorato in prima linea senza raccontare favole ma riportando nero su bianco solo ciò che si trovava sul tavolo operatorio.
Gino Strada ambito dalla politica italiana
Tirato per la giacchetta un po’ da tutti, i 5 Stelle lo volevano al Quirinale, il suo nome è stato fatto anche come commissario alla sanità in Calabria, quella terra martoriata dal malaffare che durante la prima ondata della pandemia ha sofferto amaramente il problema della sanità pubblica. Fortunatamente Gino Strada è andato sempre per la sua strada, una direzione “Ostinata e contraria” che lo ha portato a diventare un simbolo di umanità e speranza.
di Sebastiano Lo Monaco