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Gli scheletri nell’armadio di Blair e Sarkozy

di Cinzia Palmacci

E’ notizia di questi giorni che dopo sette anni di lavori, la Commissione ha esaminato 150mila documenti e ascoltato oltre 100 testi, giungendo ad una conclusione che rappresenta una condanna politica senza appello per Tony Blair. Nei dodici volumi del rapporto, emerge che le informazioni circa il possesso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein erano completamente false, e per giunta nessuno si prese la briga di confutarle.

Dall’inchiesta emerge chiaramente che l’intervento armato non era affatto l’unica alternativa, come a suo tempo sostenuto, ma sarebbe stata ampiamente possibile una soluzione politica attraverso ispezioni e monitoraggi, visto che l’Iraq non rappresentava alcuna minaccia per l’Occidente. In realtà, secondo la Commissione, Blair si era impegnato a sostenere ad ogni costo l’allora presidente George Bush nella sua impresa, mostrandosi totalmente servo di Washington. Oggi, le disastrose conseguenze della guerra per e contro l’Iraq sono sotto gli occhi di tutti. Non solo. Nemmeno l’avvertimento che la dissoluzione del regime baahtista e dell’Esercito avrebbe favorito lo sviluppo di formazioni terroristiche è stato in alcun modo ascoltato. I fatti che coinvolgono Blair suscitano un’immediata riflessione su un’altra vicenda scottante: l’uccisione del leader libico Gheddafi. Come mai finora nessuna commissione ha indagato sul coinvolgimento di un altro premier, il francese Nicolas Sarkozy, sulla morte del rais libico? Eppure, dalle indagini sull’uccisione dell’ambasciatore americano Stevens a Bengasi è emerso in maniera sempre più netta il ruolo della Francia nella rivoluzione libica del 2011.

Il rovesciamento di Gheddafi fu preordinato, organizzato e sfruttato soprattutto da Francia e Inghilterra. La storia raccontata dall’Eliseo dell’orrore provato da Sarkozy per la brutale repressione di Gheddafi contro i dimostranti libici, cede il passo alla cruda realtà che emerge dai memorandum inviati dal consigliere Sidney Blumethal all’allora segretario agli Esteri americano Hillary Clinton. Nei documenti è emerso in chiaro che la Francia, attraverso il servizio estero Dgse (Direction générale de la sécurité extérieure), era già in contatto con i futuri leader del Consiglio Nazionale Libico. A loro ha promesso guida, denaro e un pronto riconoscimento di legittimità, in cambio di privilegi per le aziende francesi, soprattutto nel settore petrolifero, ma non solo. Dopo la caduta di Gheddafi, Sarkozy ha chiesto una riserva del 35% del petrolio libico per la compagnia francese Total. I documenti non fanno soltanto riferimento a fonti interne al Consiglio libico ma anche al Dsge. Da qui la rivelazione che il generale Younis aveva legami di lungo tempo con il servizio di intelligence francese. Sia il Dipartimento di Stato che il Dsge hanno opposto il loro no comment alle rivelazioni. Stranamente questi memorandum erano stati inviati da Blumenthal a un indirizzo e-mail privato che Hillary Clinton aveva mantenuto anche durante il mandato ministeriale. Una irregolarità che ha fatto infuriare i rappresentanti repubblicani del comitato. E alla quale si è aggiunto il fatto che, proprio perché privati, non figuravano nell’elenco del materiale che la Clinton avrebbe dovuto consegnare al termine del suo mandato, né in quello, da lei selezionato, sui fatti di Bengasi oggetto dell’indagine congressuale. Per questo motivo il repubblicano Trey Gowdy, presidente del comitato, disse che erano stati resi noti i documenti rinvenuti durante l’indagine.

Ma non finisce qui. Alla vigilia degli attentati di Parigi è stata diffusa una notizia “bomba” che proprio a causa della tragedia parigina è passata sotto silenzio. Un documento ritenuto autentico, attesta l’accordo per un ingente contributo finanziario di Muammar Gheddafi alla campagna di Nicolas Sarkozy per le presidenziali del 2007. Lo dice una perizia consegnata al tribunale di Parigi. A sollevare il caso fu Mediapart, i cui giornalisti Fabrice Arfi e Karl Laske seguono da oltre quattro anni il caso e ne sono anzi all’origine. Sono loro, infatti, ad aver scovato e pubblicato il documento in questione, due anni fa. L’inchiesta più difficile, sostengono a Mediapart, e la meno ascoltata. “Forse perché troppo scomoda?”, si domandano loro stessi. Si tratta infatti di un enorme caso di corruzione che giunge fino ai vertici dello Stato, tramite il finanziamento occulto della campagna per le presidenziali del 2007. E che, scrivono sempre quelli di Mediapart, “non si può escludere che abbia giocato un ruolo, coi suoi inconfessabili segreti, anche nell’interventismo militare francese in Libia, che precipitò la caduta e la morte di un dittatore che era stato ricevuto in pompa magna a Parigi”. Mediapart era entrata in possesso di un documento che comprovava la transazione. Pubblicato il 28 aprile 2012, era entrato nell’inchiesta giudiziaria aperta in seguito alle denunce circostanziate dei due giornalisti. Sarkozy non ha mai querelato Mediapart per diffamazione, ma ha preferito sostenere che il documento in questione fosse un falso. Si tratta di una lettera datata 10 dicembre 2006, che chiede lo sblocco di 50 milioni di euro a favore di Sarkozy in occasione delle presidenziali. La nota è indirizzata da Moussa Koussa, allora capo dei servizi segreti di Gheddafi, a Bachir Saleh, direttore di gabinetto di Gheddafi e presidente di uno dei fondi sovrani del Paese, il Lybian Africa Portfolio (Lap).

La testata ha sempre sostenuto di averlo pubblicato perché certa della sua provenienza, l’archivio ufficiale libico. I giudici Serge Tournaire e René Grouman hanno dunque chiesto una perizia per verificarne l’autenticità. Che è stata poi confermata: il file è “un documento autentico esistito su supporto fisico”. I giudici francesi hanno incaricato della perizia Roger Cozien, ingegnere informatico, tra i più competenti in materia, creatore lui stesso di un software chiamato “tungstene” utilizzato da molti tribunali in Francia e all’estero. Secondo Cozien, la possibilità che il documento in questione sia falso è “minima o inesistente”. Gli esiti vanno a rafforzare la perizia calligrafica, realizzata un anno fa, che confermava come autentica la firma di Moussa Koussa in calce alla lettera. Lo stesso ex capo dei servizi libici, ascoltato dai giudici il 5 agosto 2014 a Doha, dove si è rifugiato dopo la caduta del regime, aveva affermato che “il contenuto e l’origine” del documento erano veri, aggiungendo che era “il contenuto di questo documento ad essere pericoloso”.

Pubblicata il 28 aprile 2012 da Mediapart, la nota libica sui 50 milioni a Sarkò aveva provocato cinque giorni dopo la fuga dalla Francia di Bachir Saleh, il destinatario del documento, che era colpito da un mandato d’arresto internazionale dell’Interpol e che da mesi viveva sotto la protezione delle autorità francesi, senza essere indagato. Un’altra inchiesta giudiziaria, affidata al giudice Serge Tounaire, incaricato dell’istruttoria sul dossier della presunta corruzione franco-libica, ha poi dimostrato che erano stati i servizi segreti interni, a suo tempo diretti da Bernard Squarcini (vicino a Sarkozy), ad aver organizzato la fuga del braccio destro di Gheddafi. Nello stesso dossier Claude Guéant, direttore della campagna di Sarkozy nel 2007, poi numero due dell’Eliseo e ministro dell’Interno, era stato messo sotto inchiesta per un versamento di 500mila euro nel 2008. I giudici sospettano che il denaro provenga proprio dalle reti libiche di Bachir Saleh e non dalla vendita di dipinti fiamminghi, come Guéant continua a sostenere contro ogni evidenza. Va infine segnalato che Guéant proprio il 13 novembre, giorno degli attentati a Parigi, è stato condannato in primo grado a due anni con la condizionale, al pagamento di 75mila euro e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, in un altro processo. Con lui, condannati anche l’ex direttore generale della polizia nazionale Michel Gaudin (dieci mesi con la condizionale) e tre membri di gabinetto all’epoca in cui Sarkozy era ministro (otto mesi con la condizionale e rispettivamente 40mila, 30mila e 20mila euro di ammenda). Guéant era sotto processo per “complicità nella sottrazione e occultamento di fondi pubblici”, per aver personalmente percepito e girato ai tre membri del suo gabinetto i bonus in denaro destinati alle spese di indagine e sorveglianza della polizia, quando era direttore di gabinetto del ministro dell’Interno Sarkozy fra il 2002 e il 2004.

In entrambe le faccende Blair e Sarkozy, c’è talmente tanto materiale da giustificare una messa in stato di accusa per entrambi, dato che gli ex premier sono accusati di fatti che hanno avuto e stanno avendo ripercussioni gravi nella situazione già incandescente tra Europa e Medio Oriente. La nascita di gruppi terroristici che stanno insanguinando il mondo, e il riversamento inarrestabile di disperati sulle coste italiane, sono soltanto due delle conseguenze subite e scaturite da questi atti scellerati.

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