Georgia, cosa cambia?
di Mauro Indelicato
Finisce l’epoca Shaakashvili e questa, di per sé, è una notizia decisamente importante; Tbilisi si libera di un presidente che ha portato alla Georgia una distruttiva ed insensata guerra contro la Russia, un’economia al collasso ed una democrazia “occidentale” finanziata a suon di miliardi di Dollari dagli USA.
Ma poco o nulla cambierà; infatti, con la propaganda “occidentalista” del presidente uscente, da un lato, e con l’inforcata di soldi ed armi da parte degli Stati Uniti, incominciata dall’era Bush junior, ha di fatto plasmato la politica del paese verso un solo senso anti – russo.
Tutti i candidati alla presidenza, si dicono favorevoli all’ingresso nella NATO e nell’UE, parlano di emulazione delle democrazie occidentali, mentre per ciò che concerne i rapporti con Mosca, nella migliore delle ipotesi si limitano a dire che il dialogo non è un tabù, a condizione che però i russi ritirino le truppe dall’Ossezia del Sud, ipotesi decisamente impensabile, visti anche i trattati e le convenzioni stilate nel periodo successivo alla guerra del 2008.
Ma anche a livello economico, Shaakashvili ha più curato gli interessi stranieri ed occidentali in particolare, che quelli georgiani; martellando l’opinione pubblica della necessità di aprire il paese al capitalismo e quindi ad investimenti stranieri, oggi la Georgia si ritrova con le proprie risorse e le proprie principali aziende spacchettate e svendute ad altre aziende straniere, le quali hanno potuto fare affari d’oro all’ombra del Caucaso.
Non c’è da sorprendersi dunque, se a Gori, città natale di Stalin, la popolazione georgiana abbia rimesso a posto una statua dell’ex leader sovietico; i georgiani sono sempre stati molto orgogliosi e nazionalisti e le proteste di piazza dei mesi scorsi, represse a suon di cariche della Polizia, ne sono una dimostrazione. Adesso, devono sorbirsi il teatrino delle elezioni, la cui campagna elettorale è stata fatta assomigliare a quella di un paese occidentale, con tanto di miliardi spesi per slogan, incontri, cura dell’immagine e così via; un teatrino squallido, che fa da contraltare ad una situazione economica pessima, specie dopo la guerra del 2008.
Eccola quindi l’eredità di Saakashvili; indottrinamento occidentale, con soldi occidentali, per un paese da sempre fiero delle proprie tradizioni. Secondo molti quindi, c’è da aspettarsi un periodo turbolento post elettorale: la piazza, senza la personalità costruita ad arte dell’uscente presidente, potrebbe gridare con maggior vigore la propria insoddisfazione verso una forzata occidentalizzazione.