Gaza, pulizia etnica mascherata da “città umanitaria”

A Gaza è in atto un processo irreversibile. La follia che accompagna il premier sionista Netanyahu e i suoi accoliti, prende forma con la nuova idea di concentrare migliaia di palestinesi in un gigantesco campo di concentramento che dovrà sorgere sulle rovine di Rafah.
La “città umanitaria” a Gaza
Questo dovrebbe essere il nome, ed è proprio con questo termine che Israel Katz, ministro della Difesa, ha annunciato il progetto il 7 Luglio. Un progetto che sta andando avanti nonostante i costi e i tempi lunghi per la sua realizzazione (almeno un anno). A muoversi è anche il Mossad, David Barnea, direttore dell’agenzia, si è recato a Washington per chiedere agli Stati Uniti di convincere altri Paesi ad accogliere i palestinesi che decideranno di lasciare la propria terra. Stando al sito Axios, le nazioni in questione sarebbero: Libia, Etiopia e Indonesia.
Le pressioni di Barnea sono mirate ad ottenere il via libera dai quei tre Paesi, mentre gli Stati Uniti dovrebbero fornire incentivi per convincere i governi. Gli Stati Uniti si sono dimostrati freddi all’idea di fare pressione, ma la volontà di mettere in atto una pulizia etnica mascherata non è mai sparita.
Troppo recenti le polemiche di febbraio quando Donald Trump aveva proposto l’espulsione di oltre due milioni di palestinesi per ricostruire Gaza e farne la “Riviera del Medio Oriente”. A domanda dei giornalisti, Netanyahu invitato alla Casa Bianca ha risposto che: “Israele lavora a stretto contatto con Washington per trovare Stati disponibili ad accogliere i palestinesi. Penso che Trump abbia avuto una visione brillante. Si chiama libera scelta. Sapete, se le persone vogliono rimanere possono farlo ma se volessero andare via potrebbero farlo”.
Campi di concentramento
A rispondere al premier sionista è Yigal Bronner, docente dell’Università Ebraica di Gerusalemme: “È a dir poco fuorviante l’idea che tali partenze di massa possano essere considerate volontarie, frutto di libera scelta; la popolazione palestinese è alla fame mentre continuano i bombardamenti. Quello che hanno in mente è un campo di concentramento, perché quando ammassi tante persone in uno spazio ristretto è di questo che si tratta”.
Dietro a tutto ciò c’è l’indifferenza della popolazione israeliana e di buona parte del mondo politico occidentale che fa orecchie da mercante, coadiuvato anche dai media che non ne parlano e se lo fanno, tendono a confondere con termini tecnici tralasciando le implicazioni morali ed etiche. Da come viene descritto sembra più un resort che un campo di concentramento. Al momento non si sa se e quando vedrà la luce l’ennesima follia sionista, portata avanti tra la cecità e il doppiopesismo dell’Occidente.
di Sebastiano Lo Monaco