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Recovery Fund, solo briciole alla sanità

Il Recovery Fund, il tanto atteso stanziamento che dovrebbe riversare nelle casse dello Stato italiano la più ingente somma di denaro rispetto agli altri Stati dell’unione europea, ha riservato alla sanità una minima parte di questa cascata di miliardi.

Con il “governo dei migliori” di Mario Draghi, poche cose sono cambiate soprattutto nella gestione delle somme del Recovery Fund dove alcuni progetti sono stati ridimensionati.

Quali è presto detto: le case di comunità che nel progetto del governo Conte dovevano essere 2.564, nel nuovo disegno di Mario Draghi passano a 1288. Idem con gli ospedali di comunità che passano da 753 381 e attenzione, non si tratta di bazzecole, ma di modificare in modo corposo quelle strutture che si trovano ad un livello intermedio tra l’assistenza domiciliare e quella ospedaliera.

Next Generation Eu

Cure, servizi di prossimità, digitalizzazione del sistema sanitario, questo è il plan del programma trasmesso da Mario Draghi al parlamento nell’ambito della Next Generation Eu. Un piano che stanzia per la sanità 20,2 miliardi di euro ma nella bozza Conte erano 20,7, in ogni caso sempre pochi.

Nove miliardi contro i sette del governo giallo-rosso sono riservati al potenziamento dell’assistenza domiciliare alla sanità territoriale con lo sviluppo della telemedicina. Il ministero della Salute scommette su due modelli organizzativi già sperimentati in passato mai davvero decollati, ossia le case della comunità. Nella sostanza molto simili a quella della salute, e gli ospedali di comunità, strutture per ricoveri brevi di pazienti fragili ma non gravi, che necessitano fondamentalmente di assistenza infermieristica, per evitare ospedalizzazioni improprie.

L’obiettivo, dunque, è uscire sempre di più, non solo a parole dalla logica ospedalocentrica che genera sprechi diagnostici, reparti sovraccarichi di casi non complessi, e allo stesso tempo distoglie energie e risorse per i servizi di cura e assistenza sul territorio.

Cosa sono le case della comunità?

Si tratta di un progetto ideato nel 2007 dall’allora ministro Livia Turco, sono presenti sul territorio in modo disomogeneo. All’interno di queste strutture i cittadini dovrebbero trovare tutti i servizi sociosanitari di base offerti dal Servizio Sanitario Nazionale. È presente una equipe multidisciplinare che dovrebbero prendere in carico globale la persona che può così usufruire di buona parte delle anamnesi necessarie.

Recovery Fund e ospedali di comunità

Si è visto come la pandemia abbia messo sotto stress i pronto soccorso dove si sono riversati in massa tutti coloro che avevano dei sintomi legati al Covid. Per evitare questo vi dovrebbero essere delle strutture ad un livello intermedio, collocate tra assistenza domiciliare e ricovero. Sulla carta queste strutture dovrebbero essere già previste dal Dm70 del 2015. Si tratta di strutture con una ventina di posti letto che dovrebbero prendere in carico i “ricoveri brevi”. Il Recovery Fund del governo Conte ne prevedeva 753, Mario Draghi li ha tagliati a 381.

E per il resto? La storia è maestra ma non ha allievi, dice il famoso detto. Il servizio sanitario nazionale avrebbe la necessità di una grande riforma, ma questo non è nei primi punti dell’agenda del “governo dei migliori”. Ci vorrebbero concorsi che purtroppo sono in mano a quei carrozzoni elettorali delle regioni e abbiamo visto bene come ognuna si muova liberamente creando situazioni asimmetriche all’interno del territorio nazionale. A poco servono gli slogan sugli infermieri e sui medici eroi, ma la retorica è la parte preferita della politica italiana.

di Sebastiano Lo Monaco

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