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Gaza: l’Aida chiede l’immediata rimozione del blocco sulla Striscia

di Manuela Comito

Lunedì 13 aprile l’Association of International Development Agencies (Aida) ha reso pubblico un rapporto in cui si chiede la rimozione dell’assedio imposto da Israele sulla Striscia di Gaza, e l’accelerazione degli sforzi per la ricostruzione dell’enclave costiera dopo l’ultima disastrosa offensiva israeliana denominata “Protective Edge” che per 50 giorni, tra luglio e agosto 2014, ha fatto strage di innocenti e devastato l’intero territorio. L’offensiva israeliana contro la Striscia si è conclusa con 2200 civili uccisi, 11mila feriti, 500mila sfollati; 12.400 case sono state rase al suolo e più di 160mila abitazioni sono state seriamente danneggiate. Nel rapporto dell’Aida, intitolato “Tracciare una nuova rotta, come superare lo stallo a Gaza”, si chiede ad Israele di permettere la libera circolazione dei palestinesi tra l’enclave costiera e la Cisgiordania quale “obbligo che Israele è tenuto ad assolvere come potenza occupante”.

Secondo l’Aida – che comprende 46 associazioni tra cui Care International, Oxfam, Save the Children – la Comunità Internazionale deve pretendere il rispetto delle leggi e, in particolare, le maggiori potenze mondiali – Usa, Ue, Russia e Onu – devono impegnarsi nell’attuazione di “un piano con scadenze precise per sostenere la fine del blocco. Senza la stabilità economica, sociale e politica, un ritorno al conflitto – e, conseguentemente, cicli di danni e di costante necessità di donatori che finanzino la ricostruzione – è inevitabile”. In merito alla ricostruzione, nel rapporto vengono evidenziati gli eccessivi ritardi nell’invio e nell’utilizzo degli aiuti promessi nella conferenza che si è svolta a Il Cairo dopo la tregua: “A sei mesi dalla tregua, poco o niente è stato fatto in termini di ricostruzione”, si legge. I partecipanti alla riunione del Cairo hanno promesso di dare circa 5,4 miliardi di dollari (4,7 miliardi di euro) in aiuti per Gaza ma “solo il 26,8% del denaro è stato stanziato.

Nulla è stato fatto per i civili palestinesi che versano in drammatiche condizioni, né si è dato seguito all’accertamento delle responsabilità per le gravi violazioni del Diritto Internazionale”. Gaza, da anni definita “la più grande prigione a cielo aperto” del mondo, vive sotto assedio – un assedio criminale e illegale – da parte delle autorità di Tel Aviv dal 2007. Isolata via mare, via terra e per via aerea, da Gaza non si esce e non c’è modo di entrare, senza autorizzazione israeliana. Le merci, gli aiuti umanitari e i materiali per la ricostruzione devono superare i rigidissimi controlli delle autorità israeliane lungo i valichi di confine e spesso entrano con il contagocce, in quantità irrisorie rispetto al reale fabbisogno della popolazione. Oltre a ciò, le autorità israeliane stilano sovente delle liste di beni di prima necessità che non devono entrare nella Striscia, perché potrebbero essere utilizzati per costruire armi.

A tale proposito, vale la pena andare a rileggere cosa scriveva Chantal Meloni, ricercatrice all’Università Statale di Milano, specializzata in Diritto Penale Internazionale, che nel 2010 si trovava a Gaza per collaborare con il Palestinian Centre for Human Rights: “La netta presa di posizione della Croce Rossa Internazionale sull’illegittimità del blocco di Gaza è un punto di svolta in diritto internazionale. Quello che a livello locale già veniva denunciato da anni è stato finalmente autorevolmente confermato. Non solo che questo blocco di Gaza è illegale e rappresenta una forma di punizione collettiva della popolazione civile, ma anche che gli Stati e la comunità internazionale devono collaborare e prendere concrete misure per porvi definitivamente fine. Non c’è alleggerimento del blocco che tenga. Il report dell’Icrc è chiaro sul punto: il blocco va eliminato in toto. Non si può avere una violazione “parziale” del diritto, non ci sono mezze misure ammissibili. Per questo l’annuncio di Israele che ha dichiarato che alleggerirà il blocco su Gaza ampliando la lista dei beni permessi è una mossa giuridicamente irrilevante, nonché pericolosa dal punto di vista dei palestinesi. L’idea suggerita da Tony Blair e accolta da Israele, di passare da una esigua lista di merci permesse ad una di merci vietate è una mossa poco più che cosmetica che non porterà alcun significativo cambiamento per l’economia e la popolazione di Gaza. Anzitutto la famosa lista delle merci permesse/vietate non è mai stata chiara (persino la sua esistenza è stata negata da Israele in più occasioni). Tanto meno è chiara la logica sottostante ai divieti. In verità è chiaro a chiunque esamini tali documenti che non c’è alcuna logica di sicurezza dietro alla lista dei beni vietati. Il cioccolato è vietato. Ok forse fa venire i brufoli, ma il suo uso per scopi terroristici sfugge. Il ketchup era vietato fino a settimana scorsa, come il coriandolo e la salvia. Ora, come prima conseguenza di questo alleggerimento del blocco, il ketchup può entrare a Gaza via Israele. Le capre però devono attendere, come i giocattoli, la frutta secca, i quaderni. Non c’era logica di sicurezza prima, non ci sarà dopo. E fatto salvo l’argomento sicurezza ogni proibizione diventa possibile. Inoltre quel che serve a Gaza non è il ketchup e neanche il cioccolato. Qui serve il cemento, la benzina, i materiali da costruzione, le materie prime per la produzione”.

Sono passati 5 anni, nulla è cambiato. I tunnel di sopravvivenza, sistematicamente distrutti da Israele per “ragioni di sicurezza”, rappresentano di fatto l’unica via attraverso cui fare entrare i beni di prima necessità per una popolazione di circa 1 milione e 700mila abitanti, altrimenti costretta a lasciarsi morire lentamente.

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