Gaza: impatti operazione Al-Aqsa Storm
È trascorso un anno da quando Israele ha lanciato la sua brutale guerra contro Gaza il 7 ottobre, in seguito all’operazione Al-Aqsa Storm, condotta dal movimento di Resistenza palestinese Hamas nei territori meridionali occupati da Israele.
L’operazione, che non aveva precedenti nel conflitto decennale tra israeliani e palestinesi, è stata considerata una grande sconfitta per il regime che si era sempre vantato della sua invincibilità. Oltre a ciò, il regime israeliano sta affrontando gravi conseguenze politiche, sociali ed economiche di Al-Aqsa Storm, tra cui le operazioni dei gruppi dell’Asse della Resistenza.
1. Fallimento porto di Eilat
La città portuale di Eilat, nel sud di Israele, ha dichiarato ufficialmente bancarotta a metà luglio 2024, secondo i dati forniti dal CEO del porto, Gideon Gilbert. I dati hanno mostrato che Eilat non aveva assistito ad alcuna attività o fatturato nel periodo precedente a luglio, in mezzo agli attacchi dell’esercito yemenita contro le navi collegate a Israele nel Mar Rosso, che hanno causato un calo dell’85% del traffico marittimo.
2. Costi economici
Secondo gli economisti israeliani che hanno pubblicato i dati nell’agosto 2024, la guerra a Gaza è costata all’economia del regime oltre 67 miliardi di dollari. Ha anche causato un deficit di bilancio dell’8,1% il mese prima. Anche l’inflazione ha registrato un’accelerazione molto più rapida del previsto: il tasso annuo è balzato al 3,6% nell’agosto 2024, il livello più alto dal 7 ottobre dell’anno scorso.
3. Emigrazione da Israele
I dati ufficiali mostrano che il numero di israeliani che hanno lasciato definitivamente i territori occupati dopo l’operazione Al-Aqsa Storm è aumentato del 285%. I dati mostrano che, solo durante i primi sei mesi di guerra, 550mila israeliani hanno lasciato i territori occupati e non sono mai tornati.
4. Chiusura delle attività
A 12 mesi dall’inizio della guerra, un totale di 46mila aziende israeliane avevano già chiuso i battenti a causa di alti costi di finanziamento e carenza di manodopera. Si prevede che il numero raggiunga le 60mila unità per l’intero 2024.
La guerra ha anche costretto le affiliate di alcune grandi aziende internazionali a chiudere gli uffici nei territori occupati da Israele. Era il maggio 2024 quando Samsung Next, un ramo di venture capital della Samsung con sede in Corea del Sud, ha annunciato che avrebbe chiuso il suo ufficio in Israele.
5. Il piano del corridoio arabo-mediterraneo israeliano è stato posticipato
Il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEEC) mira a promuovere la connettività e l’integrazione economica tra Asia, Golfo Persico ed Europa attraverso il percorso India, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele e Grecia.
L’iniziativa è anche chiamata Corridoio Arabo-Mediterraneo, a causa del ruolo significativo svolto dal regime israeliano nel progresso del progetto e della cooperazione di alcuni Paesi arabi del Golfo Persico.
Il gigantesco progetto ha tuttavia dovuto affrontare notevoli ritardi a causa della continua guerra israeliana a Gaza. Il destino del progetto ora dipende dal miglioramento dei legami tra Israele e Arabia Saudita, che sembrano essere in pericolo con l’intensificarsi della guerra a Gaza.
Alcuni analisti ritengono che la guerra di Israele a Gaza sia un ostacolo importante alle ambizioni economiche e strategiche dell’India di fronte alla Cina. È un problema che ha dissuaso alcuni grandi investitori indiani dal partecipare all’ambizioso progetto.
6. Fallimento della normalizzazione arabo-israeliana
Gli Accordi di Abramo, una pietra angolare della politica degli Stati Uniti per l’Asia occidentale che mira a normalizzare i legami tra il regime sionista e le nazioni arabe, sono stati ostacolati dalla guerra in corso a Gaza. Frederick Kempe, presidente dell’Atlantic Council, ritiene che le possibilità che gli accordi abbiano successo siano ora “inesistenti”.
In un’intervista rilasciata alcune settimane fa, ha affermato che la normalizzazione tra l’Arabia Saudita e il regime sionista è una delle maggiori vittime degli eventi recenti, sottolineando che ciò che una volta aveva una probabilità di successo del 50% ora è quasi morto.
Anche Zineb Riboua, ricercatrice e responsabile del programma del Centro per la pace e la sicurezza in Medio Oriente dell’Hudson Institute, ritiene che il primo e più importante risultato di Hamas e dell’Asse della Resistenza, sia stato quello di aver imposto un freno al processo di normalizzazione tra i Paesi arabi e il regime sionista.
Le atrocità commesse dal regime sionista e dagli Usa a Gaza hanno portato alcuni sostenitori della normalizzazione nei Paesi islamici a cambiare posizione. Ad esempio, il dott. Osama Al-Ghazali, uno dei più grandi simboli e sostenitori della normalizzazione con Israele in Egitto, si è scusato con gli egiziani e i martiri di Gaza per la sua buona opinione degli israeliani che hanno esposto il loro spirito odioso, criminale e razzista in questa guerra.
Inoltre, l’opinione pubblica del mondo arabo è contraria al riconoscimento del regime sionista. Un recente sondaggio condotto dal Doha Institute ha mostrato che il 90% dei tunisini, il 92% degli iracheni, l’87% dei qatarioti, l’84% degli egiziani, l’85% dei kuwaitiani, l’84% dei libanesi e il 94% dei giordani sono contrari a stabilire legami con il regime sionista.
Anche in Marocco, che ha normalizzato le relazioni con Israele nel 2020, oltre due terzi delle persone sono contrarie ai legami con il regime. Un altro sondaggio ha anche mostrato che solo il 2% delle persone in Arabia Saudita sostiene la normalizzazione con Israele.
7. La deterrenza del regime sionista si è indebolita
L’evento del 7 ottobre ha infranto l’invincibilità di Israele. Ha dimostrato che il regime non può più prevedere attacchi limitati da parte di gruppi come Hamas ed Hezbollah, o non può avere un deterrente appropriato di fronte a tali attacchi. La paura è cresciuta tra gli israeliani e le conseguenze dell’operazione di Hamas hanno sollevato controversie sul fatto che il regime abbia bisogno di un nuovo modello di sicurezza che si concentri sul completo sventamento delle minacce, non solo sulla deterrenza. L’approccio precedente, che enfatizzava le interazioni militari a breve termine, potrebbe essere impossibile da implementare per quanto riguarda le attuali prospettive di sicurezza.
8. Malcontento pubblico nei confronti del governo israeliano
Secondo un sondaggio condotto dal Canale 12 di Israele, pubblicato otto mesi dopo il 7 ottobre, la maggioranza degli israeliani ha chiesto le dimissioni del primo ministro Benjamin Netanyahu. Circa il 44% ha chiesto le dimissioni immediate di Netanyahu, mentre il 28% ritiene che dovrebbe dimettersi dopo la fine della guerra. Anche metà di coloro che sostenevano il governo israeliano concorda sul fatto che Netanyahu dovrebbe dimettersi prima della fine del suo mandato e circa il 39% ha incolpato Netanyahu per il fallimento della sicurezza del regime il 7 ottobre.
Il sondaggio ha anche mostrato che il 64% degli israeliani appoggia un accordo di cessate il fuoco con Hamas per liberare i prigionieri detenuti. Solo il 15% si oppone a un accordo del genere, mentre il 21% degli intervistati è indeciso. Secondo i media israeliani, al sondaggio online hanno partecipato circa 502 persone, con un margine di errore del 4,4%.
9. Coloni israeliani sfollati
Sono oltre 80mila gli israeliani sfollati dai territori occupati nel nord della Palestina dall’ottobre scorso.
10. Potenza militare israeliana diminuisce
Il Times of Israel, riporta che dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi 728 soldati israeliani e oltre 4mila sono rimasti feriti nella guerra in corso a Gaza. Secondo quanto riportato dal quotidiano Maariv, dall’inizio della guerra nell’ottobre scorso, più di 500 veicoli blindati israeliani hanno subito danni nella Striscia di Gaza. Secondo fonti libanesi e palestinesi, i dati reali delle vittime e dei danni materiali sarebbero nettamente più elevati.
11. Crescente odio verso il regime sionista
Il sondaggio condotto dalla Quinnipiac University negli Stati Uniti, ha rilevato che il 52% degli elettori di età compresa tra 18 e 34 anni ha dichiarato di provare più simpatia per i palestinesi, mentre il 29% ha dichiarato di provare più simpatia per gli israeliani.
Tra i giovani elettori di età compresa tra 18 e 34 anni, circa il 66% disapprovava l’aggressione israeliana, mentre il 20% degli intervistati approvava la guerra in corso.
Il quotidiano israeliano Jerusalem Post, ha riferito che un sondaggio condotto in 16 Paesi arabi ha mostrato che l’89% degli intervistati è contrario alla normalizzazione dei rapporti con il regime sionista.
di Redazione