Gaza e la guerra dei bambini
Striscia di Gaza – All’ospedale Al-Aqsa ci sono cataste di cadaveri senza nome. I bambini vivono una forma cronica di dissociazione, cercano di capire, cercano di difendersi come possono. Il regime sionista gli ha cancellato il passato e gli sta negando un futuro. Sono testimonianze dirette, quelle di Medici Senza Frontiere che lavorano negli ospedali o nelle cliniche dove riescono a portare il loro aiuto.
La gente vive un eterno peregrinare dettato dalla follia del premier sionista, in preda ormai ad un delirio imbevuto di sangue e odio. Gente che si trascina da nord a sud poi da sud a nord, da un campo profughi all’altro, ma niente e nessuno può garantire sicurezza.
Gaza distrutta da un regime sanguinario
Le temperature sforano i 40 gradi, non c’è acqua potabile, le scuole dell’Unrwa diventano campi profughi dove ci sono giochi per bambini, cucine improvvisate, adulti che cercano di ricaricare il telefono. Cadono le bombe e si corre tra i feriti, tra i morti, tra i corpi smembrati nella speranza che non sia toccato ai tuoi cari.
Quello che viene raccolto viene racchiuso in sacchetti di plastica, una pratica quotidiana come in tante altri parti del mondo. Quando cadono le bombe i corpi vengono accatastati dinnanzi l’obitorio in attesa che qualcuno li riconosca, ma molti sono sventrati, irriconoscibili. Genitori piangono, urla di dolore, rabbia, bambini moribondi. Non ci sono letti, non ci sono barelle, si viene curati sui pavimenti, sotto le luci dei neon che tremano ad ogni esplosione. Non ci sono farmaci, solo paracetamolo che dovrebbe curare tutto, non ci sono garze, le ferite si puliscono con l’acqua perché non c’è altro.
La corrente arriva a mancare anche per 12 ore e allora si amputa in sale operatorie buie. I bambini perdono la loro innocenza dentro gli ospedali, dove conoscono quel dolore che si porteranno per sempre. Il “signore della guerra” la porta avanti a discapito di tutto e tutti. Gaza sta scomparendo nella miseria e nella distruzione voluta da un regime sanguinario e razzista.
di Sebastiano Lo Monaco