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Gaza e il crollo della narrazione israeliana

Sin dallo scoppio dell’aggressione israeliana a Gaza nell’ottobre 2023, Tel Aviv ha costruito la sua guerra su narrazioni mutevoli, che spaziano dall'”eliminazione di Hamas” al “recupero dei prigionieri con la forza” e al “ripristino della sicurezza per gli israeliani”. Ma col tempo, queste narrazioni sono cadute una dopo l’altra, rivelando una profonda crisi nella visione strategica di Israele.

Oggi, con il governo Netanyahu che ha accettato l’accordo di cessate il fuoco più volte respinto, è diventato chiaro che Israele non ha raggiunto nessuno degli obiettivi dichiarati. Ma la scena che più ha segnato il crollo delle narrazioni israeliane non è stata solo l’accettazione della cessazione dei combattimenti, ma anche le scene che si sono verificate a Gaza durante la consegna dei prigionieri, dove la Resistenza ha trasformato il processo di consegna in una parata militare attentamente studiata, inviando messaggi diretti a Israele e al mondo: la guerra non ha spezzato la Resistenza, anzi, l’ha rafforzata.

Come è passato Israele dalla promessa di una “vittoria assoluta” alla realtà di una “uscita forzata”, e cosa significa questo per il futuro del conflitto?

La Resistenza a Gaza ha trasformato il processo di consegna dei prigionieri in un messaggio strategico

Israele aveva scommesso che lo scambio di prigionieri avrebbe mostrato Hamas come un movimento esausto e impoverito, ma la scena emersa da Gaza è stata esattamente l’opposto: una rigida organizzazione militare, combattenti pesantemente armati, la comparsa di veicoli militari sequestrati dalla Resistenza come bottino di guerra e una maestosa manifestazione popolare attorno alla Resistenza.

La scelta dei luoghi è stata molto simbolica: in “Piazza Palestina” nel mezzo di Gaza, dove la distruzione israeliana è totale, la Resistenza ha allestito una grande piattaforma con un enorme striscione con la scritta “Il sionismo non vincerà”, come se rispondesse all’intera narrazione israeliana sin dal primo giorno di guerra. A Jabalia, quasi completamente distrutta, i combattenti di Al-Qassam sono comparsi con armi pesanti, a significare che la Resistenza è ancora compatta nonostante l’invasione.

A Khan Yunis, il corteo per la consegna delle truppe fu guidato da una jeep militare israeliana, catturata dalla Resistenza il 7 ottobre, come prova materiale del fatto che la battaglia non era unilaterale e che l’occupazione aveva subito perdite reali in questa guerra.

Questa organizzazione compatta e la presenza militare ben ponderata hanno confermato che la Resistenza ha una leadership capace di gestire la situazione nonostante gli assassinii, e non si trova in uno stato di “crollo organizzativo” come ha affermato Israele.

Il risultato: anziché rappresentare un momento di resa ad Hamas, la consegna dei prigionieri è diventata uno spettacolo che ha confermato che la Resistenza non era stata sconfitta, ma piuttosto era uscita dalla guerra con una posizione strategica più forte di quanto l’occupazione avesse immaginato.

“Eliminare Hamas”: perché Israele non ha raggiunto il suo primo obiettivo?

Fin dall’inizio della guerra, Netanyahu ha dichiarato che l’obiettivo principale era eliminare Hamas militarmente e politicamente. Ma dopo 15 mesi di combattimenti, l’esercito di occupazione non è riuscito a eliminare il movimento, né tantomeno a ridurre la sua influenza politica e militare a Gaza.

Mentre Tel Aviv sbandierava il crollo di Hamas, la Resistenza stava ripristinando la propria autorità nella Striscia: la polizia locale tornava al lavoro, la sicurezza interna veniva riorganizzata e le attività civili continuavano nonostante le vaste distruzioni.

Gli assassinii dei leader non hanno creato il divario che Israele si aspettava. Al contrario, è diventato chiaro che c’è una leadership rinnovata che sta gestendo le operazioni militari e politiche con abilità.

Nemmeno il martirio di Yahya Sinwar, descritto come “la mente della Battaglia di Al-Aqsa Storm”, ha portato al crollo della Resistenza, il che riflette l’errore di calcolo israeliano nel comprendere la struttura organizzativa di Hamas.

Il risultato: Israele non è riuscito a eliminare Hamas, ma ha piuttosto rafforzato la sua posizione nella coscienza palestinese e regionale, arrivando ad essere visto come un movimento in grado di resistere agli eserciti più forti della regione.

Recupero dei prigionieri con la forza: da opzione militare in un’implicita ammissione di fallimento

Israele contava su operazioni speciali per recuperare i prigionieri senza la necessità di un accordo di scambio, ma tutti i tentativi sono falliti, compresa l’ operazione “Striscia di Gaza settentrionale”, che si è conclusa con un disastro sul campo.

Quando i vertici militari si sono resi conto che i prigionieri non sarebbero stati restituiti se non attraverso negoziati, hanno avviato una campagna di propaganda per descrivere l’accordo come un “risultato”, ma il modo in cui i prigionieri sono stati consegnati ha reso impossibile vendere questa narrazione al pubblico israeliano.

Le immagini della Resistenza che consegna i prigionieri in mezzo a migliaia di palestinesi, circondati dalle forze d’élite di Al-Qassam, ha trasmesso un’immagine completamente opposta a quella che Israele voleva, poiché sembra chiaro che la Resistenza è stata la parte dominante e che l’occupazione non è riuscita a imporre alcuna condizione in questa guerra.

Il risultato: “recuperare i prigionieri” si è trasformato da uno slogan militare in un’ammissione israeliana, sia implicita che esplicita, che Hamas rimane una forza politica e militare che non può essere ignorata.

Come ha fatto Israele a perdere la capacità di imporre la propria volontà a Gaza?

Israele sperava che la brutale aggressione a Gaza avrebbe ripristinato la deterrenza, ma è accaduto esattamente l’opposto. Decine di insediamenti nella Striscia di Gaza sono ormai vuoti e la società israeliana sta vivendo una situazione senza precedenti di perdita di sicurezza e di fiducia nell’esercito.

Sul fronte settentrionale, Israele è stato costretto a raggiungere un accordo di cessate il fuoco con Hezbollah, dimostrando la sua incapacità di combattere una guerra su più fronti. Il risultato più importante è che la Resistenza a Gaza è uscita dalla guerra non solo come un partito capace di difendersi, ma come un partito che ha l’iniziativa nel prossimo scontro.

Cosa significa questo fallimento per il futuro di Israele?

La guerra ha confermato che lo sfollamento forzato dei palestinesi non è più possibile, nemmeno con la distruzione totale imposta da Israele, poiché la popolazione di Gaza si rifiuta di abbandonare la propria terra nonostante il genocidio.

La narrazione israeliana è caduta di fronte al mondo e Tel Aviv non può più affermare di essere la “parte civile che si difende”, dopo che i crimini contro i civili a Gaza sono stati documentati.

La società israeliana sta assistendo a una frattura senza precedenti, con una profonda divisione tra le correnti di estrema destra e quelle liberali, che minaccia la stabilità del sistema politico israeliano. Questa divisione viene aggravata dall’ondata di dimissioni, tra cui il dimissionario Capo di Stato Maggiore Halevi, che ha riconosciuto la sua “responsabilità per il terribile fallimento”.

Inoltre, la fiducia internazionale in Israele è diminuita, con crescenti voci che chiedono l’imposizione di sanzioni e il perseguimento dei funzionari israeliani dinanzi alla Corte internazionale di giustizia.

La Resistenza palestinese è diventata più forte e influente, poiché ha dimostrato la capacità di resistere, organizzare e gestire il conflitto con l’intelligence strategica, il che rafforza l’idea che la soluzione militare israeliana sia giunta a un vicolo cieco.

È l’inizio della fine della superiorità israeliana?

Non si è trattato di una guerra qualunque, bensì di una prova esistenziale dei fondamenti della deterrenza israeliana. Oggi è diventato chiaro che Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi, ma è piuttosto uscito dalla più grande crisi politica e militare della sua storia moderna.

Per quanto riguarda Gaza, la Resistenza è emersa più forte, più organizzata e più capace di gestire il conflitto, il che rende il futuro aperto a nuove possibilità che potrebbero essere più complicate per Israele e più vicine al raggiungimento delle aspirazioni di liberazione dei palestinesi.

di Redazione

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