G7: economia reale e giustizia economico/sociale
Quest’anno il G7 si è tenuto in Canada, in Quebec, dall’8 al 9 Giugno. Come è tanto in uso dire, hanno partecipato i grandi della Terra, ossia quei Paesi considerati in linea di massima i più industrializzati: Francia, Giappone, Germania, Italia, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Unione Europea. Le organizzazioni Internazionali presenti sono state la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, le Nazioni Unite e l’Ocse. Per l’Italia tutto nuovo, la prima volta del Premier Conte e il primo invito a questo evento.
E’ possibile valutare l’utilità o meno dell’incontro in base agli argomenti discussi e agli accordi presi. Già è da rilevare che non si deve parlare di accordi ma di dichiarazioni comuni firmate e questo dà ai fatti una sfumatura diversa. Uno dei temi principali è stato il commercio internazionale in merito alla decisione unilaterale di Trump di imporre dazi sull’alluminio e sull’acciaio provenienti dall’Ue, dal Canada e dal Messico. Ne è scaturita una nota comune contro il protezionismo e un impegno a riformare al più presto le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto).
Utile? No assolutamente, se non si prendono in esame e non si mettono in discussione gli aspetti più critici di una globalizzazione non governata dalla politica, ma dalla finanza internazionale e dai grandi monopoli privati.
Posizione questa sui dazi espressa al G7 che segna una svolta? Neanche per sogno se non si mette al centro di tutto il tema della salvaguardia del lavoro, marcando il fatto che l’assenza totale di controlli sull’apertura globalizzata alle merci e ai mestieri ha portato all’abbassamento dei diritti dei lavoratori e alla precarizzazione, laddove invece i primi erano ben definiti e tutelati e il secondo aspetto limitato da apposite leggi nazionali.
Relativamente inutile discutere di protezionismo infine, se tra le regole del Wto non si tiene presente che i salari delle persone e i diritti dei lavoratori devono essere livellati in tutti i Paesi seguendo standard di rispetto per la persona, invece di globalizzare al ribasso ciò che dà dignità all’uomo, il lavoro appunto.
Tale questione non può essere inoltre separata da quella delle delocalizzazioni. E’ necessario ripensare un commercio mondiale fondato sulla parità internazionale del mercato del lavoro e dei diritti dei lavoratori, una parità che punta al miglioramento delle condizioni di questi ultimi e non alla loro ricattabilità come forza lavoro, altrimenti avremo sempre più fenomeni di trasferimento e chiusura di fabbriche per lidi meno onerosi.
Altro dettaglio non indifferente che ha tenuto banco all’incontro dei “grandi Paesi” è stato l’eventuale reinserimento della Russia al G8, richiesto soprattutto dall’America e dall’Italia, sebbene poi il Primo Ministro Conte si sia allineato su una posizione più cauta legata al comportamento di Mosca rispetto all’Ucraina.
Su questo punto non si può prescindere dall’espansionismo a est della Nato, dall’accaparramento di risorse energetiche (gas) e materie prime e dalla liquida politica estera di Donald Trump. Ma indubbiamente le sanzioni nuocciono alle imprese e di conseguenza a chi in azienda ci lavora.
Discutere di sanzioni significa rivedere il verso che fino ad ora è stato dato alla politica estera dell’Ue e della Nato. Se questa non può essere messa in discussione, è palese l’inutilità che al G7 si sia parlato del rientro della Russia negli incontri economici internazionali dei grandi paesi dell’area Atlantica.
Per contro, di ben altro valore sociale e umano rispetto al recente evento appena discusso, è un documento Vaticano uscito poco fa, approvato da Papa Francesco il cui titolo è “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario” della Congregazione per la Dottrina della Fede e del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, 17.05.2018. In esso si enuncia quanto più volte espresso dal Sommo Pontefice in materia di economia e globalizzazione e si pone l’accento dettagliatamente sull’individuo nella sua pienezza, considerato come soggetto operante e non come mezzo e oggetto di politiche speculative affaristiche.
Molti gli ambiti trattati e valutati, ma per fare un raffronto col G7 e la diversa prospettiva assunta, si prendono qui in esame gli ambiti dell’umanità delle opere, del mondo della finanza e delle banche.
Le considerazioni mettono al primo posto un fatto: il benessere economico globale è cresciuto ma allo stesso tempo si deve constatare che sono aumentate le disuguaglianze tra i vari Paesi e al loro interno. Quindi, molto semplicemente, le strategie economiche devono essere valutate in base alla qualità globale della vita raggiunta prima che all’indiscriminato accrescimento del profitto. Quest’ultimo è infatti illegittimo quando non tiene presente la promozione integrale della persona umana e della destinazione universale dei beni.
Lo studio in questione fa notare come di fronte al sempre e più crescente potere di importanti agenti e grandi networks economico-finanziari, coloro che dovrebbero esercitare il potere politico per regolamentare determinate strategie risultano non solo impotenti o resi impotenti dalla sovranazionalità di quegli agenti e dalla volatilità dei capitali da questi gestiti, ma si trasformano spesso in complici d’interessi estranei al bene comune. I mercati non si regolano da sé, ma devono essere normati. Non è possibile ignorare infatti, che oggi l’industria finanziaria col suo potere di condizionamento e con la sua capacità di dominare anche l’economia reale, è un luogo dove la sopraffazione ha la meglio sulla collettività.
A dire il vero, nell’immaginario, queste parole sembrano naturalmente stonare col G7, in quel luogo, in quella circostanza, tra quelle persone. Difficile immaginare i grandi della Terra discutere di questi temi e reagire, attivando politiche virtuose.
Comportamento dannosissimo sottolineato dal documento Vaticano preso in esame è ad esempio la commercializzazione di alcuni strumenti finanziari, leciti magari, ma proposti in una perfetta asimmetria tra le parti, approfittando delle lacune cognitive o della debolezza contrattuale di chi non opera in quel campo.
Secondo il testo è tutto un sistema attualizzato in base al quale la rendita da capitale ha insidiato e rischia di soppiantare il reddito da lavoro. Ne consegue che il lavoro stesso, con la sua dignità, diviene una realtà sempre più fortemente a rischio, perdendo la sua qualifica di “bene” per l’uomo, e trasformandosi in “un mero mezzo di scambio all’interno di relazioni sociali rese asimmetriche”. Questo non è solo sfruttamento e oppressione, ma è esclusione dalla società di cui si fa o si dovrebbe far parte.
Al G7 l’argomento lavoro nella sua essenza e nel suo valore morale e pratico non è stato neanche toccato. Ma si può parlare di commercio mondiale senza discutere della definizione stessa di lavoro? Nulla è stato detto anche sulla deplorevole prassi ormai consolidata di quei potenti fondi d’investimento che magari, mediante l’azzardo di speculazioni, influenzano negativamente o aggravano la situazione economica dei Paesi mettendo a repentaglio anche la stabilità delle famiglie e costringendo poi le politiche dei governi verso certe direzioni. Per ciò sarebbe stato un risultato concreto porre delle regole chiare su una netta linea divisoria tra potere politico ed economico/finanziario.
Tanto più, come evidenzia il testo “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones”, che l’ormai dimensione sovra nazionale del sistema economico consente di aggirare facilmente le regole dei singoli Paesi. Dunque, è possibile ragionare di dazi se non ripensa a dare delle regole certe e opportune a un sistema economico globalizzato e al mondo del lavoro? E’ normale fare un G7 senza mettere in discussione la mancanza di norme internazionali che regolano il mondo della finanza e il potere reale che esso ha sui singoli processi nazionali?
Si evidenzi con estrema semplicità che i Grandi della Terra quando s’incontrano in certi contesti non si muovono per la moltitudine ma per interessi di pochi. Uno Stato può cambiare le regole del gioco se a livello sopra nazionale c’è un consesso che non te le fa modificare? Singolarmente, è possibile cambiare governo, ma non politica.
Allora, per reagire a questa cappa discesa sulle cose potrebbe aiutare il cercare di valutare in modo lucido e obiettivo chi da quel sistema è demonizzato e accendere una luce critica su chi da quel sistema è difeso.
Probabilmente anche i mass media hanno le loro responsabilità se le cose non vengono chiamate coi loro nomi, del resto la concentrazione asimmetrica del potere tende a rafforzare i soggetti economici più forti, creando egemonie capaci di influenzare i mercati, gli stessi sistemi politici e normativi e i cittadini.
Infine, ha senso un G7 che non discute sull’opportunità di avere una seria e severa legiferazione sui Paesi che offrono coperture di conti off-shore, lasciando che ne parli il testo della Congregazione, un organo religioso dunque? No, sia perché senza dubbio quei politici e quei grandi economisti non stanno discutendo seriamente di ciò che produce effetti negativi sull’economia reale e sull’evasione fiscale con danno per i singoli stati e sia perché lo Stato è laico e ha l’obbligo e il dovere di dare regole di origine laica alla vita economica dei paesi e dei cittadini.
di Ilaria Parpaglioni