Europa

Cosa trascina l’Albania di oggi dell’era di Hoxha?

di Maddalena Malcangio

Secondo un rapporto di Amnesty International pubblicato nel 1984, lo stato dei diritti umani in Albania era cupo sotto Enver Hoxha, governatore comunista del Paese delle Aquile dalla fine della seconda guerra mondiale sino al 1985, anno della sua morte.

A causa dell’isolamento e del deperimento dei rapporti con il blocco sovietico, alcuni diritti civili come la libertà di parola, di religione, di stampa e di associazione, sebbene la costituzione del 1976 li enunciasse, vennero sensibilmente compressi con una legge del 1977, per garantire stabilità ed ordine, e vennero eliminate le reminiscenze borghesi (profitto, proprietà privata).

Oggi, a distanza di più di un ventennio dalla caduta del comunismo, molti passi in avanti sono stati fatti in ambito di diritto civile, eppure sono in sospeso ancora molte questioni sociali correlate a tale triste periodo storico. Uno di essi, primo fra tutti, concerne la giustizia che desiderano venga fatta i parenti delle numerose vittime fucilate e impiccate pubblicamente a causa di un orientamento politico-ideologico diverso, a causa dell’osservanza del digiuno nel mese di Ramadan o per il semplice fatto di essersi istruiti all’estero rappresentando un pericolo di serpeggiamento di innovazione per il governo dell’epoca.

Non meno importante è il diritto e la giustizia che da anni si affanna a conquistare chi si è visto estrapolare le proprie proprietà terriere durante gli anni del comunismo, ma che con rammarico ancora oggi non vede restituirsi dallo Stato vigente.

Quest’ultimo argomento rientra nei diritti umani e sarebbe un ottimo tema da presentare alla corte di Strasburgo; prima di impegnarsi ad entrare in Europa lo Stato albanese dovrebbe rendere ai suoi sudditi ciò che è di loro appartenenza e che da anni, tramite cause legali a loro spese, reclamano senza alcun ascolto. È vergognoso che lo Stato tuttora trattenga a sé ciò che in realtà non è suo; senza neanche chiedere dignitosamente scusa, senza riconsegnare le proprietà terriere alle vere famiglie proprietarie oppure risarcirle, senza acquistare i poderi in questione valutandone il reale valore in base alle leggi di mercato e pagare chi di dovere.

Ritorniamo a ritroso nel tempo per capire cosa sia realmente avvenuto con le proprietà private dei cittadini: durante il Comunismo furono confiscate tutte le case e ogni terreno divenendo di proprietà statale. Lo Stato da allora in avanti avrebbe deciso a chi assegnare una determinata casa, quali e quante persone ci avrebbero vissuto. Dunque nessuno più era padrone di niente e le famiglie proprietarie si videro assegnare, impotenti, le proprie case ad altre persone.

Alla caduta del comunismo i cittadini occuparono abusivamente terreni e case, costruendovi strutture o/e restaurandovi le vecchie. Il nuovo governo dinanzi a questo comportamento, per ottenere il sostegno e la coesione del popolo affinché non ci fosse un colpo di stato, acconsentì a tale atteggiamento che accontentava molti e scontentava i pochi reali proprietari.

Perché lo Stato si è comportato ingiustamente? Le ipotesi sono varie: timore dell’insorgenza popolare, desiderio di potere che sarebbe certamente perdurato nel concedere (‘regalare’) case e terre altrui a quel popolo che poi avrebbe continuato a votare a favore del nuovo partito e del nuovo governatore.

La maggioranza degli albanesi oggi si trova in case non del tutto proprie, senza averle acquistate né pagate allo Stato, case occupate abusivamente seppur ‘legalmente’ secondo l’ottica statale albanese, pochissimi oggi hanno ottenuto dallo Stato dei documenti di proprietà della casa in cui vivono, anche se spesso la veridicità dell’atto di proprietà con la persona fisica proprietaria vera e propria non combacia.

Dei veri proprietari terrieri, solo una ristrettissima cerchia ha riottenuto le proprie terre, solo coloro che fortunatamente avevano terre in località poco comode, extraurbane che non sono state occupate nel post-comunismo. Tutti coloro che invece avevano terreni al centro cittadino o in punti strategici hanno subito il sopruso delle proprie proprietà, una prevaricazione, beffardamente prevista dalla Legge 7501, subita prima dallo Stato e poi dalla gente.

Democrazia? Legalità? Giustizia? Il cammino per queste tre mete è ancora travagliato, ma con fede e perseveranza forse si arriverà a raggiungerle.

Ancora oggi il popolo albanese, soprattutto le vecchie generazioni, si trascina il peso di quegli anni tristi ben visibili in vecchie costruzioni abbandonate, in film in bianco e nero, in cibi tradizionali di quei tempi. L’ombra di quegli anni è odiernamente visibile anche dall’ingiustizia non totalmente debellata come quella terriera succitata che vergognosamente non ha ancora cessato di esistere, assieme al divieto per le donne albanesi musulmane praticanti di frequentare le scuole e le università pubbliche esercitando la loro libertà religiosa di indossare il velo.

Tali divieti perdurano dai duri tempi del comunismo ed è tempo oggi, nel XXI sec., che vengano revisionati legislativamente, soprattutto se si aspira all’entrata in Ue.

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