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Turchia, un Paese ridotto al silenzio

di Francesco Bellina

Continua, inarrestabile, la morsa repressiva del Presidente del governo turco Recep Tayyip Erdogan che ha appena approvato la nuova legge sulla sicurezza, definita eufemisticamente come “Pacchetto legislativo a tutela delle libertà”. La riforma, che in questi mesi non ha fatto mancare pesanti scontri con l’opposizione, era nell’aria da un po’. Il governo turco aveva persino sospeso la sua totale approvazione, dopo un lungo dibattito con il Partito Democratico del Popolo (Hdp) e con le altre forze di opposizione.

I 130 articoli della legge sulla sicurezza hanno fatto tremare anche la tregua con le forze curde del Pkk, dopo le accuse rivolte all’Akp, il partito di governo, di voler trasformare la Turchia in uno Stato di polizia. Non sono mancate neppure le aggressioni fisiche a membri dell’opposizione, con momenti di forte tensione durante la discussione della legge nelle aule del Parlamento di Ankara.

Non sarebbe azzardato sostenere che la nuova legge sulla sicurezza sancisca la fine dello Stato di diritto. Secondo le nuove disposizioni, infatti, la polizia turca potrà non solo condurre indagini con l’ausilio di intercettazioni e perquisizioni senza il mandato dell’autorità giudiziaria ma persino detenere i cittadini sospettati di aver preso parte a un “reato collettivo” fino a un massimo di 48 ore. A queste si aggiungono una serie di norme volte a intimidire lo svolgimento di manifestazione del dissenso pubblico: dalla possibilità dell’utilizzo di armi da parte della polizia, fino ad arresti sommari. Nel dettaglio, le forze dell’ordine potranno utilizzare armi da fuoco durante le manifestazioni in caso di presenza di eventuali armi: tra queste persino qualsiasi dispositivo infiammabile o giochi pirotecnici. Anche il possesso di fionde o molotov – in un Paese in cui si trovano più negozi di armi che tabaccherie – giustificherebbero l’utilizzo delle armi da parte della polizia turca. L’apice dell’attacco a qualsiasi forma di dissenso sembra ravvisarsi nella disposizione che prevede «l’arresto fino a tre anni» per chi indossa simboli o uniformi delle organizzazioni definite «illegali», ad esempio qualsiasi uniforme o riferimento alle milizie dei partigiani curdi, impegnati in una strenua lotta contro l’Isis, soprattutto nelle aree al confine con la Siria.

La riforma, che più volte rischiava di arenarsi a causa dell’ostruzionismo dell’opposizione, sembra aver avuto man forte anche dai recenti episodi di Istanbul, che hanno portato anche alla morte del Procuratore Mehmet Selim Kiraz. In questa occasione, il governo turco, aveva bloccato l’accesso a diversi social network a chiunque avesse pubblicato le foto dell’aggressione del gruppo DHKP/C, foto che hanno fatto comunque il giro del mondo. A soli due mesi dalle prossime elezioni presidenziali del 7 giugno, dunque, il clima in Turchia non sembra per niente sereno e nemmeno i recenti sondaggi che rilevano la perdita della maggioranza assoluta in Parlamento dell’Akp di Erdogan, sembrano frenare la longa manus della repressione.

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