Forze di sicurezza israeliane accusate di violare gli standard internazionali sull’uso della forza
Continuano gli scontri senza sosta dall’inizio del mese a Gerusalemme e in Cisgiordania, in seguito alle provocazioni israeliane presso la moschea di Al-Aqsa e alla seguente reazione dei palestinesi. Gli ultimi gravi episodi di violenza si sono verificati l’altro ieri mattina, nella giornata dello sciopero generale indetto dai Palestinesi nei territori occupati e in Israele. Tre gli israeliani rimasti uccisi durante gli attacchi.
La questione della pubblica sicurezza continua a preoccupare le autorità israeliane e a motivare misure di emergenza. Mentre le organizzazioni per la tutela dei diritti umani accusano Israele di violare gli standard internazionali. Gli attivisti di al-Haq hanno denunciato i crimini dei coloni in Cisgiordania, rimasti impuniti. Tra il 28 settembre e il 4 ottobre si sono verificati circa 29 incidenti in cui i coloni hanno attaccato i Palestinesi o le loro proprietà. Amnesty International ha recentemente condannato le uccisioni illegali e le demolizioni di abitazioni o altre misure punitive collettive contro la popolazione palestinese. L’organizzazione ha, inoltre, esortato Israele a non lasciare impunito alcun crimine perpetrato dall’esercito, dalla polizia o dalla popolazione israeliana.
Dal 1 ottobre i Palestinesi hanno condotto numerosi attacchi contro la popolazione civile israeliana. Si tratterebbe, nella maggior parte dei casi, di “lupi solitari” la cui azione non è coordinata da gruppi armati, in base alle informazioni attualmente disponibili. La risposta israeliana a questi attacchi è apparsa eccessiva. Come durante le proteste dei Palestinesi che spesso restano vittime dei colpi di arma da fuoco sparati dagli israeliani contro i dimostranti. E’ il caso del ventisettenne Mutaz Ibrahim Zawahreh, ucciso ieri dalle forze di sicurezza durante una protesta a Betlemme. Un portavoce israeliano fa sapere che il giovane aveva in mano una Molotov. Tra le vittime della violenza israeliana anche una ricercatrice di Human Rights Watch, ferita durante una manifestazione a Ramallah il 6 ottobre scorso. La donna afferma che la polizia ha iniziato a sparare contro la folla senza preavviso, sebbene quella che stava avvenendo fosse una manifestazione pacifica. E’ da anni che Human Rights Watch documenta l’uso illegale della forza da parte delle forze dell’ordine israeliane in Cisgiordania. Il caso della ricercatrice ferita il 6 ottobre scorso è soltanto uno degli ultimi esempi di dimostranti, attivisti per i diritti umani e giornalisti colpiti dai proiettili israeliani. Secondo il Ministero della Salute dell’Autorità Palestinese le forze israeliane hanno colpito più di 1300 Palestinesi con proiettili veri o di gomma nell’ultimo mese.
La reazione della polizia israeliana appare in violazione degli standard globali sull’uso della forza e delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine. Secondo i Principi di base delle Nazioni Unite, le forze di sicurezza non devono usare armi da fuoco contro persone, se non per difesa personale o per difendere qualcuno dall’imminente pericolo di morte o ferimento; in ogni circostanza, l’uso intenzionale delle armi da fuoco con intento di uccidere può essere ammissibile solo quando strettamente indispensabile per proteggere delle vite; esso deve essere limitato e proporzionato alla gravità dell’offesa. Amnesty sostiene che anche i proiettili di gomma che hanno provocato centinaia di feriti nelle ultime settimane non dovrebbero essere usati come mezzi per disperdere la folla.
Secondo Amnesty International le forze israeliane hanno usato il fuoco anche in occasione di operazioni di arresto nella Cisgiordania, come a Jenin dove 55 Palestinesi sono stati feriti secondo un report dell’Ocha. La Mezzaluna Rossa Palestinese ha inoltre riferito di attacchi ad ambulanze e personale medico ai checkpoint, in violazione del diritto umanitario internazionale in vigore nei Territori Palestinesi.