Il ruolo strategico della Flotta russa nel Mediterraneo
Le unità della Flotta russa in navigazione verso la Siria, con i loro circa 4mila uomini imbarcati, rappresentano il più imponente dispiegamento marittimo operativo messo in campo da Mosca dai tempi della Guerra Fredda; ma, a guardar bene, l’arrivo della Task Force russa nel Mediterraneo Orientale ha un valore politico e strategico assai superiore a quello operativo.
Con l’invio del Carrier Battle Group (CBG) della portaerei Kuztnesov, il Cremlino continua quel calcolato uso politico del proprio strumento militare, posto al servizio di una lucida strategia, che ha saputo rimettere la Russia al centro dello scenario internazionale. Esso è infatti un gesto di peso e significato assai più ampio delle effettive conseguenze operative che la Task Force, pur imponente, potrà avere nell’area.
Le 20 navi che la Flotta russa arriverà a contare al largo delle coste siriane con l’arrivo del CBG della Kuztnesov, incrementeranno certo il potenziale di Mosca sui campi di battaglia della Siria, ma peseranno soprattutto sugli equilibri di potenza della regione, dimostrando la volontà del Cremlino di perseguire fino in fondo i suoi obiettivi, e costituendo un credibile deterrente nei confronti delle potenze straniere che volessero intraprendere azioni ostili agli interessi della Russia o dei suoi alleati.
Con il massiccio dispiegamento della Flotta russa, Mosca compie un ulteriore passo nella ricostruzione della sua influenza nel Mediterraneo Orientale e nel Medio Oriente, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e lo scioglimento del Quinto Squadrone, che all’epoca aveva il compito di fronteggiare la VI^ Flotta Usa. Un processo passato con la ricostituzione della Flotta russa del Mediterraneo, il riavvicinamento a diversi Stati della Regione (Algeria, Cipro, Egitto ed Iran), l’annessione della Crimea e del porto di Sebastopoli, l’istituzione del Syrian Express che alimenta le operazioni in Medio Oriente e la prossima costituzione della base permanente di Tartus.
Un chiaro messaggio inviato sia alla Nato che agli altri attori locali, che la Russia è tornata inserendosi a pieno titolo nel disastroso caos creato a bella posta nel Levante, e che non è disposta ad accettare alcun fatto compiuto contro i propri interessi. D’altronde, la proiezione di potenza a difesa dell’interesse nazionale attraverso lo strumento navale è stata da sempre una costante delle potenze occidentali e in primis degli Stati Uniti, e l’invio della Flotta russa nel Mediterraneo Orientale intende dimostrare al mondo (ma soprattutto proprio all’Occidente) che Mosca può competere a pieno titolo con esse anche in questo campo.
Ciò che è piuttosto da ammirare è stata la capacità di Mosca di ottenere tale risultato in tempi brevi e con risorse tutto sommato non straordinarie (nel 2015 la Russia ha speso per la Difesa 66,4 Mld a fronte dei 596 degli Usa); è bene ricordare infatti che solo negli ultimi anni la Flotta russa sta risorgendo dal disastroso crollo dell’Urss, che l’aveva ridotta ad un ammasso di inutili ferraglie che arrugginivano nei porti.
Inoltre, i recenti programmi di riarmo e modernizzazione, hanno lucidamente dato la precedenza a battelli sottomarini nucleari e ad unità di superficie minori come fregate e corvette che, grazie a moderni e innovativi sistemi missilistici antinave e di attacco ad obiettivi terrestri, sono le più indicate per la deterrenza strategica della Russia. Una Flotta russa, intesa come vera forza navale d’altura finalizzata alla proiezione di potenza, al momento è solo in embrione, in attesa che nei prossimi anni le nuove costruzioni colmino il gap.
Per capirci, fra le 20 navi che graviteranno dinanzi alle coste siriane ci sono certo una diecina di ottime unità (basti pensare all’incrociatore missilistico nucleare della classe Kirov, il Pyotr Velikij, che, sebbene attempato, ha una potenza devastante), ma il cuore di quella Flotta russa, la Kuztnesov, è una vecchia portaerei tradizionale, affetta da gravi difetti fin dalla nascita e con le turbine a gas in pessimo stato (per tutte le evenienze l’accompagna il rimorchiatore d’altura Nikolay Chiker), che per la missione è stata costretta a lunghi lavori ed altri, per almeno tre anni, l’attendono quando l’avrà compiuta, nel febbraio del 2017.
Lo stesso gruppo aereo imbarcato ha una forza ridotta: invece dei 40 aeromobili avrà 10 caccia multiruolo Su-33 (anche se resi micidiali dal nuovo sistema di targeting Gefest), 5 caccia d’attacco MiG-29KR ed una dozzina di elicotteri (fra essi debutteranno una coppia di Ka-52K messi in vetrina per l’esportazione). Il motivo, fra gli altri, è stata la difficoltà di qualificare in tempi assai ristretti i pur ottimi piloti dell’Aviazione russa alle operazione navali. Inoltre, le caratteristiche “stobar” delle catapulte, permetteranno un ridotto carico bellico agli aerei ed una scarsa autonomia.
Ma non è questo il punto: malgrado le attuali limitazioni, la Flotta russa nel Mediterraneo è tutt’altro che una “Tigre di carta”, è a tutt’oggi la credibile manifestazione di una volontà politica coerente, posta al servizio della realizzazione di un chiaro progetto strategico, e ciò a differenza di tutti i suoi competitor, Nato compresa. Entro alcuni anni le lacune saranno colmate secondo i programmi già in atto, facendo della Flotta russa un potente strumento per la tutela degli interessi nazionali. Ancor meglio di quanto non faccia già adesso.
di Salvo Ardizzone