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Filippine: Duterte scarta Washington e sceglie Pechino

Le Filippine, con il viaggio del presidente Duterte a Pechino, si sono indirizzate verso la Cina allontanandosi dalla tutela Usa. Una scelta basata sulla logica: piuttosto che la pericolosa (e costosa) contrapposizione con il Dragone voluta da Washington, hanno preferito la collaborazione (e i capitali) offerta da Pechino.

FilippineDuterte ha chiesto aiuti e un posto per le Filippine nel colossale progetto strategico cinese “Una cintura, una via”; Xi Jinping non aspettava altro e sul piatto ha messo 13,5 Mld oltre a vari accordi per includere Manila nei mega progetti di Pechino.

Con questo viatico i due Presidenti hanno concordato di risolvere le dispute nel Mar Cinese Meridionale bilateralmente (ovvero l’iniziale proposta cinese), rinunciando a far valere la famosa sentenza della Corte arbitrale dell’Aja, che dava piena ragione alle Filippine (che era quello per cui spingevano gli Usa).

A ben vedere, la decisione di Duterte è stata logica quanto realistica: Washington premeva per una contrapposizione frontale con Pechino, fuori dalla portata di Manila e per lei potenzialmente disastrosa; inoltre, sul piatto metteva ben poco, anzi, pretendeva di trasformare le Filippine in una colossale base militare che minacciasse la Cina.

Messa così, la scelta di Duterte è stata pragmatica: Pechino persegue certamente una politica espansionistica di stampo chiaramente imperialista, ma detto questo, il Presidente filippino ha cercato un accordo utile per il suo Paese piuttosto che lasciarsi trascinare in una contrapposizione sempre più aspra, a unico beneficio di Washington che la strumentalizza.

È ovvio che la scelta non è indolore per Manila, e infatti l’argomento dei pescatori filippini a cui è stata inibita la tradizionale attività nella pescosa area dell’atollo Scarbourugh, ora controllato da Pechino, non è stato toccato nei colloqui, ma non c’erano realistiche alternative e ad addolcire la pillola amara hanno pensato i miliardi messi sul piatto da Xi Jinping.

Nel frattempo, Duterte ha rilasciato dichiarazioni contrastanti sui rapporti con gli Usa: dinanzi al vice primo ministro cinese Zhang Gaoli ha annunciato la separazione da Washington, mentre in un’intervista alla televisione di Stato cinese ha dichiarato che non stava rompendo con gli Stati Uniti, e che voleva essere amico di tutti.

Al di là delle tattiche dialettiche, le Filippine non vogliono farsi stritolare nello scontro fra Cina e Usa per il dominio nell’Asia-Pacifico, ed al contempo vogliono puntare allo sviluppo del Paese, pur sapendo che la Cina è un vicino scomodo che prende senza scrupolo alcuno tutto ciò che gli fa comodo. In sostanza, Manila non ha dato l’addio a Washington, non gli conviene, si è solo dissociata da quel “pivot to Asia” con cui gli Usa intendevano contenere la Cina, lasciando i Paesi del Pacifico in prima linea nello scontro.

Le Filippine, con il loro accordo, assestano un duro colpo alla fallimentare politica Usa nell’area, dando un esempio che non mancherà d’avere imitatori. È l’ennesimo colpo che il vecchio imperialismo di Washington riceve a beneficio del nuovo imperialismo rampante di Pechino.

di Salvo Ardizzone

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