Cronaca

Ex Ilva, sentenza stabilisce una gestione illegale

Ex Ilva – “I Riva e i loro sodali hanno posto in essere modalità gestionali illegali anche omettendo di adeguare lo stabilimento siderurgico ai sistemi minimi di ambientalizzazione e sicurezza per ovviare alle problematiche di cui avevano piena consapevolezza sin dal 1995“.

17 sono i mesi trascorsi dalla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Taranto. Si tratta del processo denominato “Ambiente Svenduto”, relativo al disastro ambientale causato dalla fabbrica dell’acciaio. Imputata è la gestione del gruppo Riva.

Le motivazioni della sentenza sono arrivate nei primi giorni di dicembre e non lasciano spazio all’immaginazione. Sentenza che, a fine Maggio del 2021, aveva inflitto pesanti condanne ai 47 imputati tra cui tre società.

Le motivazioni, contenute in quasi 3.800 pagine e in linea con la sentenza che, tra gli altri, ha visto condannare gli ex proprietari e amministratori del gruppo Fabio e Nicola Riva rispettivamente a 22 anni e a 20 anni, l’ex direttore di stabilimento Luigi Capogrosso a 21 anni, Girolamo Archinà, referente delle relazioni istituzionali e politiche dell’azienda, a 21 anni e 6 mesi, Nichi Vendola, ex governatore della Regione Puglia, a 3 anni e 6 mesi.

Ex Ilva sotto sequestro

L’ex Ilva, che si trova sotto sequestro da luglio 2012, è stata commissariata dal governo dell’epoca. Nel 2013 ha fatto uscire i Riva dalla gestione e nel novembre del 2017 è stata ceduta ad ArcerorMittal per passare nel 2021 ad Acciaierie d’Italia dove coesistono la Mittal e il Invital che è pubblica. Ed è proprio questa commistione che il ministro Adolfo Urso è chiamato a risolvere, cercando di riequilibrare la governance della società.

Sulla confisca, la Corte d’Assise nelle motivazioni del processo ha scritto che “la situazione emersa dal dibattimento, attualizzata al momento della decisione finale, evidenzia la mancata esecuzione del piano ambientale, sicché deve dirsi concreto e attuale il pericolo di ulteriori conseguenze negative in termini di ambiente e salute”. Al momento della decisione finale – scrive la Corte nelle motivazioni – solo una parte delle prescrizioni idonee di eliminare le situazioni di pericolo risultava realizzata, con la conseguenza che il dissequestro dell’area a caldo provocherebbe gravissime conseguenze a causa dei rischi rilevanti che l’impianto ancora presentava”.

Per quanto riguarda la gestione Riva, netto è stato il giudizio della Corte: “I Riva hanno messo in pericolo, concreto, la vita e l’integrità fisica dei lavoratori dello stesso stabilimento, la vita e l’integrità fisica degli abitanti del quartiere Tamburi, la vita e l’integrità fisica dei cittadini di Taranto”.

Danni alla vita e all’integrità fisica – ha argomentato la Corte d’Assise nelle motivazioni – che purtroppo in molti casi si sono concretizzati: dagli omicidi colposi alla mortalità interna ed esterna per tumori, alla presenza di diossina nel latte materni”. Infine, ha scritto la Corte, “la capacità di influenzare le istituzioni da parte dell’Ilva, facendo leva sul potere economico e contrattuale della grande impresa, ha reso per lungo tempo molto difficile l’accertamento dei crimini che si andavano perpetrando”.

di Sebastiano Lo Monaco

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