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Europa e quella voglia di guerra

La guerra in Ucraina, in corso da ormai due anni, ha cambiato il profilo non solo geografico ma anche morale dell’Europa che, messa dinnanzi al dato di fatto e incapace di tentare una strada del dialogo, ha pensato bene di accarezzare gli istinti più beceri della popolazione, grazie anche allo squallore politico e alla bassezza dei loro rappresentanti, ultimo in ordine di tempo Emmanuel Macron. Il presidente francese, in piena fregola da campagna elettorale, ha pensato bene di gettare altra benzina sul fuoco.

A giugno si voterà per il rinnovo del parlamento europeo, con quella che pare essere una vittoria del campo popolare a discapito dei socialisti che stanno vivendo una crisi infinita. A quanto pare, la vittoria non sarà poi tanto ampia, andando incontro ad un governo formato da una accozzaglia con qualche figura sbiadita a fare da presidente come Ursula von der Leyen.

Le parole di Macron vanno lette in quest’ottica più ampia e soprattutto come una retorica da guerra che pare ormai aver invaso l’Europa. Il premier transalpino ha specificato ed ha rassicurato Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano, che “non siamo in guerra con la Russia”. Affermazione ipocrita visto il numero di armi che parte in direzione Kiev.

Lo spauracchio Trump e l’asse di Weimar

È la paura di tutti i governi: la probabile vittoria del Tycoon alle prossime elezioni americane lascerebbe, nei fatti, l’Europa, da sola ad armare l’Ucraina, viste le tendenze isolazioniste e l’odio nei confronti della Nato che il multimiliardario ha sempre manifestato. Allora si alza il Pil per la corsa agli armamenti, si ricompongono triangoli, assi di alleanze, si parla con tutta tranquillità di attacchi nucleari con la stessa nonchalance con la quale si parla di vacanze. Si è persa del tutto la “recta ratio”, non si accenna a sedersi ad un tavolo e discutere.

Europa tra follia e miopia

Si parla, nuovamente, di “ombrello atomico” con Polonia e Finlandia che parlano, in tutta serenità, di armi nucleari. In risposta, Putin ammassa truppe ai confini, in quell’eterno paradosso della sicurezza che porta allo sfacelo.

Non si parla di “Boots on the ground”, ma l’idea di fondo è quella di ingaggiare con la Russia una corsa agli armamenti in un revival della Guerra Fredda. Questo ha già comportato un impatto devastante sul welfare che manda all’aria sistemi sanitari già allo sbando, togliendo soldi dove servirebbero per incanalarli verso la Difesa.

Putin ha già attuato un’economia da guerra, per lui lo scontro non è ipotetico e la Russia produce più missili e munizioni dell’intera Europa. Dall’altra parte c’è Zelensky, “l’amico dell’Occidente” che ormai è allo stremo, non riesce a reclutare militari, ha finito gli armamenti e punta solo a quelli che arrivano dagli Usa e dall’Unione Europea. Lo scontro è in una fase di stallo e “gli amici” iniziano a pensare ad altro, a puntare gli occhi sui Paesi Baltici con quell’enclave di Kaliningrand che potrebbe essere l’oggetto del contendere prossimo futuro come il corridoio di Suwalki. Si ripropone il motto “Si vis pacem para bellum” che trova nuovi apologeti e adepti, pronti a deridere chi parla di pace ma non sappiamo quanto pronti ad armarsi e partire.

di Sebastiano Lo Monaco

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