Etiopia, tra dighe e massacri
Etiopia, valle dell’Omo, un sito tutelato dall’Unesco. Succede che da 7anni a questa parte, vi è in corso un sanguinoso conflitto. Si potrebbe credere, erroneamente, che il conflitto veda contrapposti due eserciti. Sbagliato. Anzi, di questo conflitto nè se ne parla nè si ha intenzione di risolverlo. Il motivo è semplice.
Nel 2006, dieci anni fa, il governo Etiope attraverso l’Eepc (Ethiopian Eletric Power Corporation) decide di appaltare “all’italiana”, ossia senza bando e senza gara, alla società “Salini Costruttori”, una delle maggiori aziende tricolore presente in svariate parti del globo terracqueo. Dove ci sono appalti milionari, lì c’è Salini Costruttori. Si potrebbe riproporre il jingle di una famosa azienda alimentare.
Che cosa appalta il governo Etiope “all’italiana” Salini Costruttori? Appalta niente e poco di meno che la costruzione di una diga che sarà chiamata Gibe. La diga in questione viene costruita sul fiume Omo che irriga tutta la valle che prende il suo nome.
Il fiume in questione è di fondamentale e vitale importanza per gli abitanti della valle. Essi, infatti, hanno una sussistenza precaria e basata principalmente sulle esondazioni che il fiume, periodicamente, compie. Con la costruzione della diga, le immagini satellitari dimostrano che è stato dato il via al riempimento, la popolazione non potrà più usufruire dell’acqua e delle inondazioni che sino ad oggi hanno tenuto in vita la gente di quella zona.
Il fragile ambiente ed i già precari mezzi di sussistenza, di una parte della popolazione dell’Etiopia, saranno totalmente distrutti. La “mission” che si trova nel comunicato della Salini è quanto di più coinvolgente possibile. Famoso il detto: “Ti fregano con le parole” e così sta accadendo. Cosa dice il comunicato dell’azienda italiana? Vale la pena riportarlo per esteso perchè è un capolavoro:
“Ispirata ai principi dello sviluppo sostenibile, fa leva sull’innovazione tecnologica e organizzativa e sullo straordinario patrimonio umano e professionale di cui dispone, per sviluppare soluzioni costruttive, capaci di valorizzare le risorse dei territori e di contribuire alla crescita economica e sociale dei popoli”. Bellissime. Sono parole che lasciano immaginare scenari di progresso e di sviluppo per chi si trova in quelle zone. Parole. E con le parole ci fai quello che vuoi. Con le parole governi il mondo, fai decidere alla gente che le loro scelte sono compiute in assoluta autonomia. Con le parole incarti e scarti a piacimento. Ci devi saper fare. E quelli della Salini ci sanno fare.
La diga sarà un mostro in cemento, che oltre a deturpare un sito già protetto dall’Unesco, bloccherà le esondazioni del fiume e sarà in grado di produrre 6.500 Gwh in un anno. Energia che verrà sfruttata in due modi: prima nel sistema elettrico dell’Etiopia e successivamente, “last but don’t least”, da rivendere a prezzi folli alla nazione più vicina al territorio dell’Etiopia, il Kenya.
L’ordinamento dell’Etiopia avrebbe previsto che, prima di approvare il progetto, si sarebbe dovuto effettuare una valutazione, seria, sull’impatto ambientale e sociale che la costruzione avrebbe avuto. Ergo, quella diga, li non ci sarebbe dovuta stare. Ma vuoi mettere di dar voce agli ingegneri ambientali che sono più noiosi dei filosofi? Meglio di no. E allora il governo Etiope dà il via al colosso italiano per deporre il “primo mattone” solo che qui mica si parla di ponti da fare in Italia, qui si fa sul serio ed il primo mattone diventano, poi, milioni e milioni.
Di tutto ciò è meglio non sapere. La condizione degli abitanti etiopi della valle non conta nulla. I lavori hanno avuto inizio nel 2008. Ed hanno inizio perchè un’altra azienda italiana, milanese per la precisione, chiamata “Cesi”, ha definito l’impatto ambientale “trascurabile”. Tradotto: “Fatela pure la diga. Non succede nulla”.
Il tutto, venendo gestito da italiani e all’italiana, il Cesi, guarda caso, “dimentica”, capita in Italia di dimenticare qualcosa, di tenere in considerazione l’uso delle terre limitrofe dove vivono i contadini etiopi. Si ignora, in Italia si ignora sempre qualcosa, il futuro del fiume che verrà bloccato dalla diga. E non si parla nemmeno del lago Turkana che dal fiume Omo riceve il 90% dell’acqua.
Eppure, studi effettuati in modo serio e scrupoloso, non “all’italiana”, dicono esattamente il contrario. La diga, scrivono, avrà un impatto ambientale devastante. La portata del fiume Omo subirà una riduzione drastica. Questo comporterà l’interruzione del ciclo naturale delle esondazioni che hanno donato la vita ai contadini etiopi.
Le popolazioni locali sono state costrette, dal governo dell’Etiopia, a trasferirsi in modo coatto. Tribù come i Mursi, Bodi, Kwengu. Come ogni azione coatta si è avuta l’inevitabile violenza. Violenze fisiche e morali. Adulti legati ad alberi e fucilati, bambini gettati nei fiumi e cadaveri dati in pasto agli animali. Uno dei villaggi è stato raso al suolo.
Tanti appelli sono stati fatti, dall’Unesco, da Survival International, Counter Balance, Friends of Lake Turkana, International Rivers. C’è anche un sito: stopgibe3.it dove si possono trovare informazioni su quello che sta accadendo, vergognosamente e silenziosamente, in Etiopia.
di Sebastiano Lo Monaco