Eritrea di nuovo sulla scena internazionale
L’Eritrea, uno dei Paesi più piccoli dell’Africa, è stato per decenni un mistero per la comunità internazionale, al punto di meritarsi una reputazione come la Corea del Nord fino a che nel settembre scorso è iniziato un processo di modesto impatto globale, ma di grande importanza nella regione del Corno d’Africa.
La realtà dei Paesi del Corno d’Africa, che un tempo costituivano il regno ricco e leggendario di Axum con Etiopia, Eritrea, Gibuti e Somalia è estremamente complessa e instabile. La sua mancanza di ricchezza naturale ha reso le nazioni europee che l’hanno conquistata dal 19° secolo e l’hanno suddivisa secondo gli interessi di Londra, Parigi e Roma, hanno considerato la regione come colonie di secondo o terzo ordine, poi di una relativa importanza geopolitica.
L’Eritrea e l’Etiopia hanno normalizzato le loro relazioni dopo aver tenuto chiuso il loro confine di oltre 900 chilometri per venti anni. Il ritiro dal Regno Unito nel 1962 scatenò una guerra per l’indipendenza dell’Eritrea dalla “giovane” Etiopia, che durò da quell’anno fino al 1993, quando l’Eritrea raggiunse finalmente la sua indipendenza. Anche se le dispute di confine hanno causato un’altra guerra durata dal 1998 al 2000, l’anno in cui i confini sono stati chiusi e ogni tipo di negoziato fino allo scorso 10 settembre, ponendo fine al lungo conflitto che ha generato oltre 200mila morti. Nella città saudita di Jeddah, in presenza del re saudita Salman bin Abdelaziz, del giovane e influente principe ereditario e del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, il presidente eritreo Isaias Afwerki, con il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed, hanno ratificato l’accordo il 9 luglio, che ha dichiarato “la fine dello stato di guerra”, nonostante il fatto che nel 2016 i tamburi di guerra tra le due nazioni fossero tornati a suonare.
Dopo l’annuncio ufficiale della fine del conflitto e il ripristino delle relazioni è apparsa la vera volontà di questo accordo. Gli Emirati Arabi Uniti (Eau) hanno annunciato la costruzione di un gasdotto che collegherà la città portuale di Assab (Eritrea) ad Addis Abeba (Etiopia), dove il petrolio etiope farà rotta per i mercati internazionali. D’altra parte, gli Eau, dopo l’accordo, hanno concesso un aiuto di tre miliardi per l’Etiopia, che include un miliardo per la sua banca centrale, mentre le sue compagnie statali hanno annunciato piani di investimento per l’Etiopia.
Il governo degli Emirati ha partecipato all’ombra dell’accordo politico e sta già iniziando a prendere il pezzo più grande. Con questo successo, Abu Dhabi, e anche sauditi e americani ci guadagnano, non solo per la questione delle risorse petrolifere dell’Etiopia, ma anche per il fatto che con questa mossa si chiudono le possibilità di entrare in questo business per l’Iran e il recente nemico di Riyadh, l’emirato del Qatar, che stavano lottando per entrare nel Corno d’Africa, (Gibuti, Eritrea, Etiopia, Somalia). La regione strategica che circonda praticamente lo stretto di Bab-el-Mandeb (Porta di Lamentazioni) un corso d’acqua chiave che collega l’Oceano Indiano e il Mediterraneo dal Golfo di Aden e il Mar Rosso per il Canale di Suez, attraverso il quale passa un enorme flusso commerciale, in particolare il petrolio, che è stimato in circa quattro milioni di barili di greggio al giorno in rotta verso l’Europa e gli Stati Uniti, è la chiave per la bilancia commerciale dell’Occidente.
Con la nuova apertura politica in Eritrea senza dubbio il suo territorio diventerà una possibilità interessante per istallare più basi militari in diversi punti di forza lungo il Mar Rosso e, quindi, approfondire la lotta per il predominio del controllo in Africa orientale, oltre all’ex colonia francese di Gibuti diventata una grande campo per basi militari di diverse potenze. Mosca intanto attraverso Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri ha annunciato che, dopo il miglioramento dei rapporti tra Etiopia ed Eritrea, le compagnie russe aumenteranno i loro investimenti nella regione con la realizzazione della loro partecipazione all’oleodotto regionale e la creazione di un centro di tecnologia nucleare dedicata alla ricerca in Etiopia.
Il presidente eritreo Isaias Afwerki, in un sussulto di pragmatismo, è riuscito a cogliere forse l’ultima occasione per non passare alla storia come il responsabile del collasso economico del suo Paese; gli investimenti internazionali in Etiopia di cui parte fondamentale è il ripristino di quello sbocco al mare che è il porto eritreo di Massaua, ma che passa anche attraverso la soluzione del problema dei profughi, lo hanno spinto a mettere fine a una situazione non più sostenibile con il risultato di un disgelo a passo di marcia in meno di due mesi: il ripristino delle linee telefoniche interrotte da vent’anni, la ripresa dei voli, la riapertura dell’ambasciata etiopica in Asmara, nella capitale Eritrea e, l’11 settembre, la riapertura delle frontiere. Rimane l’ipoteca di Riadh sul Corno d’Africa.
di Cristina Amoroso