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Emma Bonino presidente? Un po’ di informazione sul suo profilo

di Federico Cenci

Si sta riproponendo, in Italia, quanto andato in scena nel 2006 e, in modo ancor più determinato, già nel 1999. In prossimità dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, alcuni settori della società civile, foraggiati dalla stampa progressista, invocano il nome e sostengono la candidatura di Emma Bonino. Da qualche giorno siamo entrati nella fase più acuta di questa serrata campagna propagandistica. Proprio mentre alcuni media diffondono sondaggi dai quali trapela l’ampio consenso che il nome dell’esponente radicale raccoglie tra gli italiani, si costituisce un comitato di sostegno alla sua candidatura. Il redivivo “Emma for President” risulta molto attivo sui social network, piattaforme virtuali dalle quali sono partite iniziative pubbliche a favore della Bonino al Quirinale.

L’appoggio di una larga fetta di italiani a questa causa si spiega così, in modo desolatamente sommario: è donna, è competente, è onesta, è da sempre una paladina dei popoli oppressi e dei diritti civili. Posto che il genere sessuale femminile della Bonino costituisce un requisito (o almeno così lo ritengono gran parte degli italiani) sulla cui autenticità non dovrebbero esserci dubbi, sul resto è forse opportuno approfondire.

È competente? Probabilmente lo è. Il lungo curriculum le avrà senz’altro fornito un cospicuo bagaglio di conoscenze e una certa dimestichezza con la politica. Ma non lo è più degli altri candidati accreditati – da Prodi a Letta passando per D’Alema e Amato – anch’essi reduci da esperienze istituzionali di primo piano. Del resto, la (ovvia) competenza del Capo dello Stato è un aspetto che rappresenta una prerogativa valida solo se coniugata con l’onestà.

E allora, questa Emma Bonino, storicamente ostile ai “costi della politica” eppur pronta, oggi, in qualità di ex vicepresidente appena uscito dal Senato, a intascare una liquidazione di 60mila euro e una pensione netta di 6.500euro, è davvero così onesta come in tanti credono? Qualche risposta in proposito la si può evincere, in particolare, spulciando un testo. Ovverosia, il Rapporto al Parlamento europeo dei Periti Indipendenti, dal quale si accerta la responsabilità dei commissari nei casi di frode, cattiva gestione e nepotismo in seno alla Commissione europea presieduta dal francese Jacques Santer e di cui facevano parte gli italiani Mario Monti e, appunto, Emma Bonino (1). Era l’anno 1999, l’esperienza della radicale come commissario europeo si concludeva in modo inopinato. Travolta da uno scandalo.

Di quel periodo di lavoro a Strasburgo Emma Bonino qualcosa comunque conserva: l’amicizia con l’ex collega Mario Monti, con il quale ha talvolta frequentato le riunioni del Gruppo Bilderberg a cui il premier italiano è notoriamente affiliato. Amicizia che si è concretizzata nei loro reciprochi attestati di affetto e che ha trovato la sua sublimazione nel 2012, quando il Governo Monti, in piena stagione di spendig review, ha inserito nella Legge di Stabilità il riconoscimento per l’anno in corso di un robusto finanziamento a Radio Radicale (2). Un regalo giustificato dal fatto che la radio in questione manda in onda i lavori delle due Camere. Giustificazione tuttavia insufficiente: per lo stesso servizio provvede già la Rai con l’emittente “Gr Parlamento”. Quindi? Quindi si tratta di uno sperpero di denaro pubblico, che fa dei radicali – fieri oppositori del finanziamento pubblico all’editoria – degli ipocriti. Sarebbe opportuno che la Bonino, prima di farsi elevare a candidata modello di trasparenza ed onestà, desse conto di questi fatti concreti.

Qualche suo ostinato sostenitore, a questo punto, potrebbe ancora obiettare: “Vabè, la Bonino sarà pure meno onesta di quanto sembra, però rimane sempre una paladina dei popoli oppressi e dei diritti civili”. Paladina dei popoli oppressi? Quanti attribuiscono questo pregio alla storica spalla di Pannella ne discutessero nel merito con i serbi, gli afghani, gli iracheni, i palestinesi. Con tutti quei popoli che negli ultimi quindici anni, periodo in cui la Bonino ha ricoperto varie cariche istituzionali in Italia e in Europa, hanno subito le conseguenze drammatiche delle “missioni umanitarie” statunitensi o dell’aggressività israeliana. Politiche che hanno sempre trovato, in Italia, il favore convinto dei radicali, così solerti a brandire una bandiera a stelle e strisce o a chiedere l’annessione di Israele nell’Ue e nella Nato. In prima fila, ad esultare ogni qual volta un missile, una bomba al fosforo bianco o una raffica di cluster bomb spazzavano via migliaia di vite innocenti. In nome dei diritti umani, s’intende. Più prosaicamente, in nome dell’imperialismo, di quella smania di esportare ovunque il modello di sviluppo liberista, tanto caro a banche, corporation e – appunto – ai radicali.

Va da sé che un simile personaggio, il quale ritiene strumento di oppressione uno chador e strumento di liberazione una bomba, ha poco a che spartire con il termine diritti, qual si voglia la loro declinazione. Eppure è opportuno non liquidare la questione così, ma spendere qualche parola anche nei confronti di quanti non demordono e insistono nel riconoscere alla Bonino di essere, perlomeno, una paladina dei diritti civili.

Anche i sostenitori della Legge 194 sull’aborto, fuorché non siano dei sadici col gusto del macabro, non possono che sobbalzare innanzi alla spietatezza con cui l’esponente radicale ha sempre affrontato il delicato tema. Nel 1974, insieme a un’altra femminista, Adele Faccio, fondò a Milano un centro, clandestino e dunque contro la legge, che si occupava di praticare aborti e che possiede il triste primato di 10.141 aborti procurati in un solo anno. I mezzi con cui lì dentro si operava erano alquanto rudimentali – pompe da bicicletta, dilatatori di plastica, vasi di marmellata – ma la stessa Bonino (che, per altro, non è un medico) ne parlava con un’indifferenza orgogliosa che fa rabbrividire. “Alle donne non importa nulla che io non usi un vaso acquistato in un negozio di sanitari, anzi, è un buon motivo per farsi quattro risate”, spiegava al settimanale “Oggi” nel 1975. Sempre in quegli anni, a seguito di una sua auto-denuncia, la Bonino finì anche in galera. Assolta grazie a qualche magistrato indulgente verso quella che all’epoca dalla legge italiana era ancora considerata una forma di infanticidio, si aprirono per lei le porte del Parlamento.

Ora, a quasi quarant’anni da quei fatti, le porte che qualcuno vorrebbe che le si aprissero sono quelle del Quirinale. Nel Colle più alto la Bonino porterebbe, oltre al vizio della bestemmia (3), un carico di cultura relativista che la metà basta a sotterrare secoli di tradizione e civiltà che affondano le radici nel nostro Paese. Sarebbe pertanto un’anomala garante della Costituzione italiana, dato che il suo repertorio di “pillole radicali” prevede, tra le varie aperture a ogni pretesa individualistica, anche un “allargamento del concetto di famiglia” che stona, e di molto, con l’articolo 29. Laddove per famiglia, si intende inequivocabilmente la “società naturale fondata sul matrimonio”.

Insomma, tanti e validi i motivi per scongiurare questa ipotesi che tuttavia, malgrado di nuovo si sia azionata la potente macchina propagandistica che la perora, di nuovo è destinata ad evaporare come accaduto nel 1999 e nel 2006. Resta però motivo di desolazione l’ampio credito di cui la Bonino gode presso molti nostri connazionali, evidentemente o ignari o conniventi.

(1) http://digilander.libero.it/Terra_Nostra/rapporto_collegio_su_commissione_santer.pdf

(2)   http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/radio-radicale-i-soldi-ci-sono.aspx

(3)   http://www.youtube.com/watch?v=lS28nAtoarM&feature=player_embedded

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