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Emergono le prime crepe nel modello economico tedesco

di Salvo Ardizzone

In un recente articolo avevamo illustrato come il modello produttivo tedesco, basato su bassi consumi all’interno e massima esportazione all’esterno, fosse all’origine di forti distorsioni per tutta l’area dell’Euro e danneggiasse l’economia di tutta Europa.
Per i soloni liberisti del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) erano sciocchezze, e in un recentissimo report si sperticavano di lodi per la politica economica di Berlino e sulla sua solidità, rivedendo al rialzo le già generose prospettive di crescita. Peccato che, con l’eco di quei giudizi ancora nelle orecchie, la Bundesbank sia stata costretta ad ammettere che nel II° trimestre del 2014 i dati evidenzieranno una stagnazione dell’economia, con il Pil fermo, l’indice Zew sulle aspettative economiche scivolato ai minimi del 2012, vendite al dettaglio in calo e produzione industriale in diminuzione. In poche parole, a denti stretti, ha dovuto confessare che l’economia tedesca è in frenata.

Questo ha preso in contropiede analisti ed ambienti finanziari abituati a ragionare per teoremi astratti; in realtà la spiegazione è assai semplice: un modello economico basato sulla compressione dei consumi interni e sulle esportazioni come motore, collassa se la domanda esterna frena (come sta avvenendo già da qualche tempo) e comunque, alla lunga, anche in presenza d’una domanda esterna sostenuta, al di sopra d’un certo squilibrio fra consumi interni ed esportazioni, finisce per crollare la redditività del capitale investito, perché, detto terra terra, non è la stessa cosa produrre e vendere sul mercato interno e farlo in altri continenti. E comunque, che la Germania non possa contare né sulla domanda interna degli altri Paesi Ue (sfiancati da assurde politiche restrittive), né sulla ripartenza dei consumi dei Brics (come tutte le previsioni riportano, anche per le gravi crisi che infiammano mezzo mondo) è ormai assodato.

Il fatto che gli squilibri provengano dai bassi consumi interni tedeschi, che Bundesbank e Governo sin’ora si sono guardati bene dallo stimolare, è confermato pure da numerose stime, come quelle pubblicate dalla Diw tedesca, dal Cepii francese e dallo stesso Fmi, che finisce per vedere un parallelo fra l’aumento dei risparmi e il calo degli investimenti, perché, in sostanza, se non c’è mercato, domanda di beni e servizi, un’azienda non è stimolata ad investire per migliorare e incrementare la produzione per il mercato interno; punta tutto sull’estero, e se quello rallenta o si ferma come sta accadendo, preferisce mettere da parte i capitali, appunto.
Il fenomeno è cominciato nel 2000, con la riforma delle pensioni e il sorgere d’una sorta d’angoscia di massa per il reddito futuro; imprese e famiglie hanno assorbito questo elemento d’incertezza, collegato alla percezione che il Paese sia circondato da pericoli non controllabili provenienti da nazioni-cicala (Italia ed Europa mediterranea in genere).

Di qui l’ossessiva propensione al risparmio che finisce per deprimere i consumi e con essi l’economia, che non può reggersi solo sulle esportazioni (e se lo fa, come abbiamo visto, danneggia gli altri), soprattutto quando esse frenano per il quadro mondiale.
Il risultato sotto gli occhi di tutti è che, quando l’economia più forte del Continente tira, lo fa succhiando i consumi del resto dell’Europa e mantenendo alta la quotazione dell’euro, facendo stagnare l’economia di tutti gli altri; quando si ferma, come sta avvenendo, è ancora peggio, perché il mercato più grande dell’Europa si blocca con essa.
Abbiamo detto che i dati sono sotto gli occhi, ma evidentemente non sotto quelli della Bundesbank e del Governo, che, scelto un modello di sviluppo, con teutonica ottusità (e la noncuranza di scaricarne il peso sugli altri) non intendono cambiare strada neanche dinanzi all’evidenza.

In verità, solo ora qualcosa si sta provando a fare, aumentando i salari e pompando un pò più di liquidità nel sistema, ma i sintomi di crisi per ora spingono ancora di più al risparmio, esasperando il problema. Senza interventi drastici, che dubitiamo verranno mesi in atto perché sconfesserebbero decenni di politiche, non se ne verrà fuori, e non solo la Germania, ma purtroppo l’intera Europa.

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