Egitto. Una carneficina in nome di chi?
Una carneficina inaccettabile e senza precedenti in un paese che pure vive una situazione di stallo da due anni; i numeri parlano chiaro: 638 morti il bilancio degli scontri che stanno insanguinando l’Egitto, non si contano i feriti e le fonti non sono certo della piazza, visto che ad aggiornare la situazione è lo stesso Ministero della salute. L’Egitto è un paese oramai in una tanto chiara, quanto triste, situazione di guerra civile: da un lato i sostenitori di Morsi, dall’altro l’esercito che, foraggiato dai fondi Usa, sta facendo piazza pulita di ciò che resta dei Fratelli Musulmani, unico partito organizzato nel paese.
Una situazione, per certi versi, paragonabile a quella del 1992 in Algeria, quando dopo la vittoria del Fis, un partito gemello dei Fratelli Musulmani, l’esercito intervenne duramente con un colpo di Stato per impedire agli islamisti la prosecuzione del loro legittimo governo. In Algeria, è bene ricordarlo, per due anni ci fu una guerra civile che costò la vita a migliaia di persone; una repressione molto sanguinosa, che adesso sembra aver messo piede purtroppo anche al Cairo. Ma l’Egitto, tanto a livello strategico quanto culturale, è per il mondo arabo altra cosa rispetto all’Algeria; per tutti gli arabi, vedere un paese guida come l’Egitto in questa situazione, è un contraccolpo che potrebbe trascinare con sé altre nazioni del medio oriente.
Al di là comunque di qualsivoglia analisi politica, lo sgombero forzato dei presidi dei Fratelli Musulmani, con elevato spargimento di sangue, è una mossa molto dura attuata dall’esercito e di certo non si può rimanere insensibili dinnanzi ad un così elevato numero di morti. Di fatto, sembra il bilancio di una calamità naturale ed invece è il frutto di una feroce repressione, che manda definitivamente in frantumi, al momento, ogni discorso circa i prossimi sviluppi della democrazia egiziana; è oramai palese come l’intervento dell’esercito, pur ufficialmente attuato per dare risposte ad una piazza che a gran voce chiedeva la fine dell’era Morsi, sia stato invece programmato per spazzare via l’unica forza politica organizzata del paese, piazzando al suo posto uomini, come l’ex direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, El Baradei, in passato molto vicini all’Occidente.
Qualsiasi intervento richiesto da una qualsivoglia maggioranza di cittadini, non può certo giustificare infatti un numero di morti così elevato; il paese è spaccato in due unità che sembrano adesso poco conciliabili: chi vuole che l’esercito continui nella propria azione e chi invece sostiene il ritorno di Morsi. Sono due visioni dell’Egitto diametralmente opposte, che vanno ben oltre il sostegno o meno al presidente deposto dal colpo di Stato: vi è una parte infatti che vuole una nazione nella quale l’islam conti di più, l’altra invece un paese più laico. Due visioni diverse quindi, che pure però potrebbe convivere, ma la cesura netta dell’esercito rischia di lacerare ulteriormente i rapporti tra i due fronti.
Conseguenze collaterali di quanto sta accadendo in queste ore, colpiscono anche chi con tutto il marasma egiziano poco o nulla dovrebbe aver a che fare in maniera diretta: infatti, diversi gruppi islamici, in queste ore stanno attaccando diverse Chiese in varie parti del paese, mettendo nei guai una minoranza, come quella cristiana, da sempre ben integrata nel tessuto sociale. L’altra conseguenza, riguarda la chiusura a tempo indeterminato del valico di Rafah: tale chiusura, rischia di mettere in difficoltà diverse famiglie della Strisca di Gaza, che spesso si recano in Egitto per lavoro. Da Alessandria al Cairo, da Luxor al Sinai, il paese è piombato nel caos; oltre ai morti, vi è un’economia bloccata, un clima di profondo disorientamento e tanti problemi nelle comunicazioni. L’auspicio è che tutto possa tornar al più presto alla normalità: salvare l’Egitto dal baratro, vuol dire ridare al mondo arabo un punto essenziale di riferimento culturale e politico.