Egitto: pioggia di dollari sui militari golpisti
di Mauro Indelicato
L’Egitto in questi giorni, oltre a dover subire le instabilità interne che rischiano sempre più di degenerare paurosamente, nei rapporti esterni viene per adesso letteralmente strattonato per la giacchetta.
E’ una sorta di gara al più “generoso” quella messa in piedi dalle principali capitali arabe, specialmente dalle monarchie del Golfo; “caduto” il presidente Morsi, diversi governi della regione tentano di accaparrarsi il favore della nuova leadership del Cairo.
Ma non è una gara che in ballo ha solo il prestigio: come detto in altre occasioni, l’Egitto è il faro culturale dell’intero mondo arabo ed ogni mossa interna ad esso, potrebbe influenzare la società civile di tutto il medio oriente. Del resto, la “primavera” araba è sì partita da Libia e Tunisia sul finire del 2010, ma è arrivata ad investire l’intero mondo arabo soltanto dopo che piazza Tahrir si è riempita di oppositori anti Mubarak.
E così, ecco che da Riyadh, da Doha, ma anche da altre capitali, non solo i vari capi di Stato hanno alzato la cornetta per complimentarsi con le forze armate egiziane per il colpo di Stato, ma hanno anche sganciato diversi importanti assegni di svariati miliardi di dollari.
Tra Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi, sono arrivati qualcosa come 12 miliardi, che nelle intenzioni dei donatori, dovrebbero servire a riassestare l’economia egiziana e far quindi consolidare il potere appena insediatosi; ma perché tanto interesse nel dare cifre enormi al Cairo?
I paesi prima citati, non vedono di buon occhio i Fratelli Musulmani; questo movimento panarabo, radicato in molti Stati, secondo le cancellerie del golfo, metterebbe a serio rischio la stabilità delle monarchie locali e dunque contribuire alla stabilità di un sistema nato dalla caduta dei Fratelli Musulmani, vorrebbe significare per questi donatori allontanare lo spauracchio di rivolte interne.
Anche i Fratelli Musulmani avevano comunque dei finanziatori: Qatar e Turchia avevano dato diversi miliardi di dollari al governo Morsi nell’ultimo anno, ed Ankara si era anche impegnata nell’istruire l’Egitto al modello economico portato avanti dal governo Erdogan.
Molti quindi gli interessi, politici e non, che gravano sull’Egitto e che contribuiscono a soffiare sull’attuale precarietà politico–istituzionale del paese; non mancano le curiosità, come ad esempio la linea comune che vi è tra l’Arabia Saudita e la Siria di Assad nell’esprimere soddisfazione per il golpe.
Damasco e Riyadh sono spesso ai ferri corti, è provato l’aiuto economico che i sauditi hanno dato e continuano a dare ai sedicenti ribelli siriani, eppure evidentemente su questo fronte è essenziale e vitale per entrambi fermare le posizioni islamiche più ortodosse.
Bisognerà adesso capire che piega prenderà la crisi egiziana: da qui, si potranno capire molte cose circa i futuri assetti della regione.