Egitto. Il regime imbavaglia la stampa sui crimini della polizia
In questi giorni è stato pubblicato il rapporto annuale di Reporter senza Frontiere, che segna un peggioramento globale nel 2014 per la stampa, “sotto attacco dalle guerre, dalle crescenti minacce di agenti non statali, da violenze durante manifestazioni e dalla crisi economica, la libertà dei media è in ritirata in tutti e cinque i continenti”.
Una “regressione brutale” della libertà di stampa, che si registra soprattutto in Medio Oriente, anche se il primato tocca all’Eritrea. A differenza dell’Italia che ha perso 24 posizioni nell’annuale classifica, l’Egitto quest’anno ha guadagnato un posto, da 157 a 158 su 180, ma la situazione, dice la Ong francese, resta allarmante. Nel 2014 almeno trenta giornalisti sono stati detenuti per avere partecipato a manifestazioni o per sostegno a presunte organizzazioni terroristiche.
A conferma di quanto sia allarmante la situazione in Egitto, è l’ultima misura contro la libertà di stampa: allorché gruppi per i diritti politici hanno accusato le forze di polizia di aver ucciso l’attivista 32enne, Shaimaa el-Sabbagh, insistendo sul fatto che un video ampiamente diffuso ne è la prova, l’Egitto ha stretto la morsa sulla libertà d’informazione e il procuratore generale ha posto il divieto imponendo il silenzio stampa sul caso dell’attivista.
Il filmato mostra due agenti di polizia mascherati vestiti di nero puntare i loro fucili verso la vittima e una voce ordinare loro di fare “fuoco”. Sabbagh è stata uccisa il 24 gennaio, alla vigilia del quarto anniversario della rivoluzione egiziana contro il dittatore di lunga data sostenuto dagli Stati Uniti, Hosni Mubarak, che ha portato alla sua estromissione.
Un certo numero di gruppi per i diritti civili ha da tempo sollevato la preoccupazione che le autorità di polizia egiziane non sono quasi mai perseguite dal governo sostenuto dai militari, regna una cultura di impunità per le forze di sicurezza del Paese. Più di cento agenti di polizia egiziani sono stati assolti dopo l’uccisione di manifestanti durante la rivolta popolare del 2011 contro Mubarak. Da allora, nessun agente di sicurezza o autorità di polizia è stato accusato per gli omicidi, nonostante sia stato avviato un giro di vite molto più ampio sui sostenitori dell’opposizione.
La dichiarazione rilasciata giovedì dall’ufficio del procuratore generale del Paese ha inoltre dichiarato che l’ordine di bavaglio-stampa rimarrà in vigore fino a quando l’indagine sul caso non sarà completata. La dichiarazione ha anche sottolineato che i media “imprecisi e contraddittori” per quanto riguarda l’uccisione di Sabbagh potrebbero “avere un impatto negativo” sull’inchiesta.
Intanto le forze di sicurezza egiziane hanno cercato di prendere le distanze dal presunto caso di omicidio, che ha riacceso accuse persistenti contro la violenza letale delle forze di polizia.
Shaimaa Al-Sabbagh non è stata, ovviamente, la prima vittima dopo il 30 giugno, dopo il colpo di Stato militare. Non si sa esattamente quanti egiziani innocenti siano stati uccisi dal 30 giugno. Con questo, intendiamo cittadini inermi e pacifici uccisi, senza che avessero usato violenza diretta contro le forze dell’ordine, che, solo in questo caso, potevano essere spinti a uccidere come auto-difesa o come un modo per frenare la violenza potenziale.
Ma l’uccisione di Shaimaa Al-Sabbagh ha avuto luogo in una mattina chiara in mezzo alle strade del centro del Cairo, con decine di testimoni, durante una manifestazione pacifica e rappresenta una prova dell’uso inadeguato della forza da parte della polizia, un abuso di potere fino al punto di violare i diritti umani e di commettere atti illegali.
Noi crediamo che tutti gli errori e i crimini si accumulano e aumentano il malcontento in assenza di meccanismi democratici adeguati, e alla fine avviene l’esplosione.