Ecco perchè aspettare il nome del successore per comprendere la mossa di Benedetto XVI
Benedetto XVI lascerà dunque il Papato: i successori di Pietro che hanno compiuto questa scelta, fino alla settimana scorsa erano sei, l’ultimo dei quali Gregorio XII nel 1415, anche se in questo caso più che di dimissioni volontarie, bisogna parlare di dimissioni dovute ai fatti politici dell’epoca, visto che Papa Gregorio esercitava il proprio ministero nel periodo dello scisma di Avignone ed il proprio abbandono era una delle condicio sine qua non per ritrovare l’unità della Chiesa romana.
La decisione di Joseph Ratzinger, dovremmo tornare a chiamarlo così da giovedì prossimo, è molto più simile invece a quella presa da Celestino V nel 1295, quella cioè del “gran rifiuto” descritto da Dante nella Divina Commedia; si trattava infatti di dimissioni volute espressamente dal Pontefice e non da situazioni storiche che si erano venute a creare. Celestino V era un uomo proveniente da origini umili, lontano dallo sfarzo e dal lusso della Curia romana, del quale non conosceva i contrasti, le lotte per il potere e tutto ciò che, dopo appena tre mesi di pontificato, lo persuasero a rassegnare le dimissioni.
In epoca moderna dunque, nessun Papa ha lasciato il soglio pontificio prima della fine del proprio cammino terreno, anche se, a dir la verità, non esiste alcuna norma del diritto canonico che impone al Santo Padre di rimanere a vita dentro il palazzo Apostolico. Si trattava, da adesso in poi forse su questo argomento è opportuno iniziare a parlare al passato, di una mera tradizione ed il 28 febbraio avremo la situazione paradossale che un uomo, come Joseph Ratzinger, da sempre vicino agli ambienti più conservatori della Chiesa, compirà un gesto di profonda discontinuità rispetto alla tradizione degli ultimi secoli.
Chi parla di gesto rivoluzionario, forse non ha tutti i torti: Benedetto XVI, sia prima che dopo la propria elezione, ha sempre misurato le parole, le sue frasi non lasciano nulla al caso e nel corso del discorso con il quale ha annunciato al mondo la rinuncia al soglio Pietrino, ha usato la seguente espressione: “Lascio il mio ruolo di Vescovo di Roma.”
In questa espressione, il Santo Padre sembra ribadire almeno due concetti: il primo, sempre al centro del proprio pontificato, è quello della collegialità nell’amministrazione della Chiesa ed annunciando le dimissioni da Vescovo della capitale, ha voluto rimarcare il fatto che lui è prima di ogni cosa un Vescovo, di certo quello che ha un ruolo più eminente, ma è comunque “solo” un Vescovo che come tutti è chiamato ad ereditare la funzione dei dodici Apostoli; il secondo invece, riguarda il fatto che, proprio essendo un Vescovo, rivendica quasi una sorta di “diritto” al pensionamento, come tutti gli altri Vescovi della Chiesa, i quali lasciano il proprio ruolo all’età di 75 anni.
Dunque, il gesto di Ratzinger potrebbe non rimanere isolato nella storia futura della Chiesa, ma essere emulato o addirittura istituzionalizzato e non sono pochi al momento a prevedere che il successore di Benedetto XVI possa introdurre una sorta di pontificato a termine.
Sulle motivazioni delle dimissioni, come insegnano i duemila anni di storia della Chiesa, probabilmente è ancora troppo presto per azzardare soluzioni che possano definirsi veritiere; si possono pensare varie ipotesi che, come tali, si dovranno valutare alla prova dei fatti.
Le prime ipotesi, vertono su forzature e pressioni interne o esterne alla Curia, che avrebbero quasi obbligato il Papa a lasciare il proprio ruolo; tali ipotesi reggono su alcuni fatti storici importanti accaduti in questi ultimi 12 mesi. In primis, la presunta, ma ufficialmente smentita, previsione del Cardinale di Palermo, Paolo Romeo, fatta proprio un anno fa in Cina, in cui si annunciava la fine imminente del pontificato di Benedetto XVI; poi ancora, diversi articoli apparsi nel2012 inalcuni quotidiani quali “Il Foglio” o “Il Fatto Quotidiano”, in cui anche in questo caso si preannunciava la fine dell’esperienza di Benedetto XVI, anche se non tramite dimissioni, ma tramite addirittura una “congiura di palazzo” che avrebbe portato alla morte del Santo Padre; infine, gli scandali “Watileaks” ed i misteri ruotanti attorno allo IOR, l’istituto per le opere religiose, una vera e propria multinazionale vaticana, che fa “gola” ai tanti interessi poco limpidi e trasparenti in cui è coinvolta la gestione finanziaria del piccolo Stato oltre Tevere.
Delle supposizioni quindi, che sembrerebbero confermare come qualcuno già da tempo sapeva di reali intenzioni di dimissioni di Joseph Ratzinger.
Le altre ipotesi invece, hanno un taglio diametralmente opposto alle prime e si ipotizza semplicemente una reale sopraggiunta inadeguatezza fisica del Papa a proseguire nell’incarico affidatogli il 19 aprile del 2005, all’indomani della fine di uno dei Pontificati più lunghi di sempre, quello di Karol Wojtyla; proprio delle scorse ore, sarebbe la notizia che il biografo ufficiale di Ratzinger avrebbe rivelato come da qualche mese il Santo Padre sarebbe cieco da un occhio e molto dimagrito rispetto a poco tempo fa.
Infine, un terzo “canale” di ipotesi, verterebbe sull’intenzione del Papa di azzerare tutti gli incarichi della Curia romana, al fine di agevolare un rapido ricambio interno alla Chiesa, provata in questi ultimi anni da una sempre più emarginazione, specialmente nella società europea, e dalla perdita di credibilità derivante soprattutto dagli scandali dei preti pedofili.
Anche in questo caso, per tentare di avvicinarci quanto più possibile alla verità, possono venirci in aiuto le parole pronunciate da Benedetto XVI negli ultimi incontri ufficiali del pontificato.
Mercoledì, nell’omelia della Messa delle Ceneri, ha parlato apertamente di “ipocrisia” e “divisioni” interne alla Chiesa, che vanificherebbero il proprio percorso storico nei secoli futuri: “Il vero discepolo non serve se stesso o il “pubblico”, ma il suo Signore” afferma in uno dei passaggi del discorso; domenica all’Angelus, è ritornato sul tema della divisione interna e della “strumentalizzazione” della Parole di Dio per i propri fini personali; giovedì, nel corso dell’incontro con i parroci romani, ha rimarcato l’importanza di applicare seriamente i principi del Concilio Vaticano II: “Sono esistiti due concili: uno dei media ed uno reale; per adesso si è applicato quello dei media, ora bisogna tornare ad applicare quello reale” è una frase estrapolata dal suo discorso.
Interventi questi, che sembrano dare un indirizzo al suo successore o quasi avvertirlo di ciò che troverà una volta insediatosi e contro cui dovrà combattere per risollevare la credibilità della Chiesa.
Ma non solo: dalle parole traspare una certa insofferenza contro ciò in cui nei suoi anni di pontificato si sarebbe imbattuto. In molti fanno notare che, anche se non era certamente un monaco lontano dalla Curia come Celestino V, Joseph Ratzinger nei suoi 24 anni passati in Vaticano come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, non è mai stato al centro di baruffe politiche, anche la sua esistenza privata era dedita più allo studio che ad altro, nei primi anni 2000 aveva chiesto a Giovanni Paolo II di essere sollevato dall’incarico per permettergli di continuare i propri studi teologici nella sua Baviera.
Quindi, non sarebbe molto azzardato pensare che il Papa sia il primo ad essere rimasto sorpreso dalla brutta aria che tira nella Curia, dalla poca trasparenza e dagli scandali che hanno messo a dura prova la tenuta del Pontificato in questi anni.
Allora, a questo punto, non resta che aspettare il nome del successore per comprendere la bontà o meno del gesto di Ratzinger: se il Conclave eleggerà un Papa che sappia fare “piazza pulita”, che risponda alle esigenze di una società sempre meno ascoltata dalla Chiesa e che chiede con forza il ritorno ad origini umili e credibili dell’istituzione religiosa, vuol dire che Benedetto XVI con il suo gesto ha voluto aprire una nuova fase storica; diversamente, potrebbero prendere vigore le ipotesi che parlano di congiure di palazzo.
Qualunque sia comunque la reale motivazione dell’abbandono di Ratzinger, un merito bisogna attribuirglielo: grazie alle dimissioni, la Chiesa sta riaprendo un dibattito interno in cui in molti stanno mettendo nero su bianco argomenti fino a pochi giorni fa rimasti tabù, come per esempio l’ammissione del proprio fallimento nel dialogo con i giovani, i quali stanno sempre più disertando le chiese.
Il passo indietro di Benedetto XVI ha messo tutto in discussione, sta ridando animo e speranza a chi si aspetta una Chiesa diversa da quella degli ultimi anni, più vicina ai reali bisogni spirituali e materiali della gente, capace si svecchiarsi negli uomini che la compongono e negli atteggiamenti portati avanti.
Ora più che mai, le istanze provenienti dal basso e dalla “nuova” Chiesa sempre più vigorosa in Africa e in sud America, potrebbero essere ascoltate per ridare slancio ad uno spirito riformista da tempo messo a tacere tra le stanze sorde dei palazzi Apostolici.
di Mauro Indelicato