Donald Trump e gli affari di famiglia
Mentre il miliardario Donald Trump aspetta al 52esimo piano della sua “Trump Tower” di scendere tra i comuni mortali ed avviarsi a prendere possesso dell’abitazione di Pennsylvania Avenue, Barack Obama, con un discorso dei suoi, pieno di sentimento e di motivazione, dice addio nella sua Chicago. Una presidenza, quella di Obama, che nasceva sotto la maledizione di un Nobel per la Pace che pure lui trovò eccessivo e che, gli appena 10 mesi di presidenza non potevano promettere niente. Ma è troppo presto per tirare delle linee nette e dare sentenze storiche. Certo è che il lascito della sua presidenza è l’elezione, storica come fu la sua, di Donald Trump.
Alla sua elezione non credeva nessuno. Contro tutti e bisogna dargliene atto, è riuscito a dar voce a quella parte della popolazione americana che, evidentemente, il sogno di Obama non lo ha mai visto realizzarsi. I democratici, dovrebbero porsi questo preciso compito, nei due anni che li separano dalle elezioni di mid-term, cercare capire come abbia fatto un narcisista patologico, miliardario, più volte fallito, con delle venature di razzismo non troppo velate, a dare voce ad una parte dell’America che si è sentita abbandonata nel corso di questi otto anni.
Venendo a Trump, dopo i vari Mad Dog ed altre scelte in odore di razzismo, vedi il ministro della Giustizia, è di questi giorni la notizia che l’ultima piazzata del palazzinaro è quella di Jared Kushner, 36 anni, genero del neo presidente, marito della figlia prediletta Ivanka. In un america dove il familismo è tenuto sotto la lente di ingrandimento ma dove dinastie come i Kennedy, Clinton inclusi, hanno fatto della politica il loro palcoscenico privato, non deve sorprendere più di tanto.
Donald Trump ha una forma di venerazione nei confronti della figlia ma non potendo, in forma palese, scegliere lei, ha optato per chi gli sta accanto. Kushner, 36 anni è un costruttore, miliardario come il suocero e siederà in una delle poltrone più importanti, quella del consigliere del presidente e vestirà un ruolo fondamentale, soprattutto, nelle politiche estere. In questi giorni, infatti, si sono avuti degli incontri con il capo del Foreigner Office britannico, Boris Johnson assieme a Steve Bannon, estremista di destra stratega di Trump. Kushner è uno di quelli che ha investito negli insediamenti nei territori occupati da Israele. Non proprio una figura che si può definire “neutrale.”
Jared Kushner è un ebreo ortodosso, 25 anni, ha comprato il New York Observer, testata che durante la campagna elettorale si è schierata in modo compatto e violento contro la Clinton. Ha studiato ad Harvard grazie ad una donazione miliardaria elargita dal padre, sopravvissuto all’olocausto e fondatore dell’azienda che Jared oggi guida. Una delle prime mosse del giovane proprietario è stata quella di spostare il family business dal New Jersey a Manhattan, cosa che aveva fatto Donald Trump a suo tempo, sbarcando dal Queens.
La scelta di Trump, pone l’ennesimo problema del conflitto di interessi. Così come il presidente, il consigliere scelto si occuperà di capi di Stato e businessman con i quali potrebbe avere, ed ha, potenziali interessi convergenti e confliggenti. Anni dopo che Kennedy nominò il fratello Bob al dipartimento di Giustizia, il congresso approvò una legge sul nepotismo. I democratici sono del parere che il profilo di Jared sia esattamente corrispondente a ciò che quella legge proibisce.
Per voce del suo legale, Kushener ha affermato che si dimetterà da ogni incarico nelle sue imprese e che il lavoro da consigliere sarà effettuato a titolo gratuito e che la legge non prevede l’applicazione nel caso dello staff.
In vista del 20 Gennaio, inizieranno le audizioni al senato per la conferma dei ruoli principali della nuova amministrazione. I nomi con problemi nel curriculum sono molti, Session su tutti. Il punto è che più si tenta di ostacolare e/o mettere in cattiva luce Donald Trump, più lui riesce ad uscirne indenne. E’ questo il problema principale, un altro, alla quale i democratici, star del cinema, della musica e della cultura devono tenere presente, visto che tra una decina di giorni, una parte dell’America da loro tanto citata ma mai capita del tutto, avrà un megafono seduto dietro al resolute desk. Riuscirà, colui che è stato visto come l’anti establishment, come l’elemento di rottura, come l’anti politico, colui che è stato votato per spezzare il finto incantesimo della presidenza Obama, riuscirà ad essere la voce degli ultimi?
di Sebastiano Lo Monaco