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Djokovic e l’hotel della vergogna

Qui non si parlerà di Djokovic, quello che è successo ha già avuto la sua cassa di risonanza. Quello che ha fatto il tennista serbo, però, è stato di accendere una luce su qualcosa che prima di lui nessuno aveva accennato e che pure stava sotto gli occhi di tutti. Come sempre accade in questi casi, l’eco della persona famosa fa accendere i riflettori su situazioni sino allora sconosciute come la storia del Park Hotel di Melbourne, l’hotel pieno d’insetti, con il pessimo cibo dove vige un trattamento disumano, stando alle parole della madre di Djokovic.

L’hotel balzato agli onori della cronaca per aver ospitato Djokovic

L’Hotel è balzato agli onori della cronaca per aver ospitato il tennista che si è scontrato contro uno dei governi più rigidi in materia di immigrazione e di rispetto delle leggi. L’Australia, una volta atterrati nel suo territorio, non fa sconti a nessuno.

Park Hotel di Melbourne nasce come albergo di lusso, con clientela selezionata, piscine e campi da tennis, poi, con il tempo, le cose sono cambiate. I campi da tennis ci sono ancora ma non ci sono più i clienti facoltosi che li utilizzino perché a cambiare è stata la clientela. Il Park Hotel fa parte dei 1400 “centri alternativi di detenzione” che sono stati pensati dal governo australiano per “ospitare”, richiedenti asilo e rifugiati che sono, in molti casi, detenuti illegalmente con una durata del soggiorno che può durare anche nove anni, come in alcuni casi presenti nella struttura.

Il pugno di ferro dell’Australia

L’Australia fa della durezza, dei controlli severi alle frontiere, il suo marchio di fabbrica. Considerata una delle nazioni apripista delle politiche di esternalizzazione, l’Australia ha stabilito che nessuno può fare ingresso irregolare nel Paese bloccandolo in aeroporto. Sulle coste se si dovesse avvicinare qualcuno via mare viene trasferito presso sperdute isole dell’Oceania come Manus che appartiene alla Papua Nuova Guinea, ma che accetta questa situazione attraverso laute ricompense. 

Quattromila sono gli uomini, le donne e bambini che sono stati trasportati, dal governo australiano, presso Manus e Nauru. Gente che proveniva da Iraq, Afghanistan, Sri Lanka, Myanmar. Non luoghi di villeggiatura ma di detenzione.

Qualcosa si è mosso nel 2018, quando è stato pubblicato il libro “Nessun amico se non le montagne”, del blogger Boochani. Grazie a questa denuncia il centro di Manus è stato chiuso ma nessuna destinazione è stata trovata ai detenuti che sono stati lasciati a se stessi a Port Moresby, capitale della Nuova Guinea.


di Sebastiano Lo Monaco

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