Divise Polizia prodotte in Romania, pagate il doppio dall’Italia
Le Forze di Polizia tanto care al ministro dell’Interno Matteo Salvini, che non disdegna in barba alla legge di indossare casacche e giubbotti con fregi e alamari, sono al centro di un caso che sta passando in sordina nella stampa nazionale ma che dovrebbe avere la giusta risonanza.
Cosa è successo di preciso? Le divise della Polizia sono prodotte in Romania in un settore che è composto da poche aziende e che da molti anni si accaparrano i bandi pubblici per vestire Polizia, Carabinieri ed Esercito; le sedi di queste aziende si trovano in Italia e per la maggior parte in Lombardia e Toscana, ma come ormai accade spesso delocalizzano la produzione all’estero e in questo caso a Bucarest.
Il costo del lavoro è inevitabilmente più basso rispetto a quello in Italia, ed è dalla Romania che arrivano le divise delle Forze dell’Ordine. Ma quello che accade ha però dell’inspiegabile; lo Stato italiano paga le uniformi come se fossero prodotte in Italia e questo sistema consente alle aziende di guadagnare il doppio “fregando” lo Stato (complice).
Quello che appare ad una prima sommaria indagine è che attorno al business delle divise delle Forze dell’Ordine si sia creato un cartello visto che è sempre più frequente, per le aziende, vincere le gare di appalto con ribassi minimi; l’ultimo bando dei Carabinieri è stato diviso in nove lotti cinque dei quali vinti da aziende che hanno ribassato dell’uno percento.
L’azienda Alfredo Grassi Spa ha ottenuto una commessa per la fornitura delle divise al prezzo di 163 euro cadauna, ma il costo nella fabbrica rumena di Targutrotus si ferma a circa 90 euro con un guadagno netto dell’80% per ogni capo.
Eppure questi fatti sono conosciuti anche dagli alti vertici delle Forze dell’Ordine visto che sono proprio loro a recarsi in queste aziende per sincerarsi della qualità dei prodotti e ne è al corrente anche il ministro Salvini che, interpellato da Report, non ha saputo fare altro che dare la colpa ai bandi europei promettendo, come sempre, di cambiare le regole anche se il 7 Aprile di quest’anno il ministro dei tweet lanciava un proclama da propaganda elettorale: “Mi auguro che sulle etichette dei prodotti italiani ci sia scritto un made in Italy con un tricolore grosso così! Affiancandogli l’immancabile bandierina”. La coerenza non ha mai trovato casa in Italia.
di Sebastiano Lo Monaco