Dissidenti sauditi in sciopero della fame
Nel regno dei Saud, alleati stretti delle democrazie occidentali, il rispetto dei diritti umani è nullo. La tortura e l’eliminazione fisica di dissidenti e oppositori non sono pratiche sconosciute. Si allarga la dissidenza politica all’interno del regno conservatore contro i maltrattamenti da parte delle autorità carcerarie come repressione guidata dal principe Mohammed bin Salman (Mbs) contro gli attivisti dei diritti umani e oppositori politici, mentre il numero di dissidenti sauditi in esilio è più che raddoppiato dall’ascesa al trono del principe ereditario.
La protesta del gruppo Prisoners of Coscience
Il Gruppo per i diritti dei Prigionieri di Coscienza, un’organizzazione non governativa indipendente che cerca di promuovere i diritti umani in Arabia Saudita, ha annunciato uno sciopero della fame a tempo indeterminato per chiedere il rilascio di tutti i dissidenti arbitrariamente imprigionati solo per avere esercitato il loro diritto alla libertà di espressione. La tortura e varie forme di maltrattamenti sono state regolarmente e ampiamente segnalate negli ultimi anni nelle carceri e nei centri di detenzione in Arabia Saudita.
Il gruppo ha poi annunciato che i famosi attivisti Abdullah al-Hamid, Abdulrahman al-Hamid – membro dell’Associazione dei diritti civili e politici sauditi (Acpra) – Abdulkareem al-Khodor, Fawzan al-Harbi e Mohammad Fahed al-Qahatani si sono uniti allo sciopero della fame.
Il regime saudita ha recentemente intensificato arresti, procedimenti giudiziari e condanne per dissidenti e attivisti per i diritti umani. La provincia orientale a maggioranza sciita di Al-Qatif, è stata teatro di manifestazioni pacifiche dal febbraio 2011. I manifestanti hanno chiesto riforme, libertà di espressione, rilascio di prigionieri politici e la fine della discriminazione economica e religiosa contro la regione, dove le proteste hanno subito una pesante repressione da parte del regime con le forze di sicurezza che hanno aumentato le misure di sicurezza in tutta la provincia. Negli ultimi anni, Riyadh ha anche ridefinito le sue leggi anti-terrorismo per colpire l’attivismo. Nel gennaio 2016, le autorità saudite hanno giustiziato il religioso sciita, Sheikh Nimr Baqir al-Nimr arrestato a Qatif nel 2012, per aver criticato le politiche del regime di Riyad.
Dissidenti sauditi in esilio ricercati da Riyadh
Da quando il principe ereditario Mohammed ben Salman ha messo nel mirino le voci critiche e i dissidenti con l’obiettivo di silenziarli, il numero di richiedenti asilo e rifugiati politici che hanno lasciato l’Arabia Saudita è più che raddoppiato. Come conferma un rapporto dell’agenzia Onu per i rifugiati, da 575 casi nel 2015 si è passati a 1256 nel 2017.
Nell’ultimo anno almeno tre casi simili a quello di Jamal Khashoggi, il giornalista e intellettuale scomparso al consolato saudita di Istanbul. Dal Canada agli Stati Uniti, all’Australia, emissari del regno hanno avvicinato dissidenti cercando di attirarli all’interno delle rappresentanze diplomatiche locali.
Fra i dissidenti nel mirino vi è il 27enne Omar Abdulaziz, esiliato in Canada: egli racconta che, a inizio dell’anno, è stato avvicinato da agenti sauditi che gli hanno intimato di seguirli all’interno dell’ambasciata per sbrigare alcune pratiche relative al passaporto. “Mi hanno detto – ricorda – ci vorrà solo un’ora, devi solo seguirci in ambasciata”. Abdulaziz, nel mirino di Riyadh per alcuni spettacoli satirici sulla monarchia, si è rifiutato temendo una trappola. Negli stessi giorni due suoi fratelli e alcuni amici rimasti in Arabia Saudita sono stati arrestati.
Vi è poi il caso di Abdullah Alaoudh, studioso alla Georgetown University, che ha rivelato di essere stato attirato in una “trama” del tutto simile lo scorso anno a Washington. Alaoudh, figlio del predicatore islamico Salman al-Awd agli arresti e sotto processo in Arabia Saudita, aveva presentato richiesta per il rinnovo del passaporto all’ambasciata. I funzionari gli hanno risposto invitandolo a tornare nel Paese di origine per espletare alcune “formalità”. “Mi hanno offerto un pass temporaneo che mi avrebbe permesso di tornare in Arabia Saudita”. Tuttavia, aggiunge, “sapevo che si trattava di una trappola e me ne sono andato con il passaporto scaduto”.
Fra questi vi è anche Manal al-Sharif, attivista per i diritti delle donne fuggita in Australia. Dice di essere sfuggita per poco a un tentativo di sequestro nel settembre dello scorso anno quando Saud al-Qahtani – voce influente nella famiglia reale – ha cercato di trascinarla all’interno dell’ambasciata. “Senza l’intervento provvidenziale di Dio – sottolinea – sarei stata un’altra vittima”. E c’è chi la chiama chirurgia politica!
di Cristina Amoroso