Detenuti palestinesi: le ragioni di una lotta
Centinaia di contadini e pescatori della Striscia di Gaza sono scesi ieri in piazza per esprimere solidarietà e supporto alle migliaia di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Secondo quanto riportato da Press Tv, la manifestazione è stata organizzata dopo che circa 5100 prigionieri palestinesi hanno indetto uno sciopero della fame di un giorno in sostegno ai 120 detenuti amministrativi che dal 24 aprile si rifiutano di assumere cibo, in segno di protesta per la detenzione illegale.
I manifestanti si sono ritrovati davanti all’ufficio del Comitato della Croce Rossa Internazionale, scandendo slogan e condannando fermamente il silenzio della cosiddetta Comunità Internazionale riguardo alle sorti dei detenuti. Gli organizzatori hanno chiesto alla Cri una maggiore attenzione ed un impegno più concreto nell’alleviare le sofferenze dei detenuti. Secondo l’associazione per i Diritti dei Prigionieri Addameer, dall’inizio del mese di aprile sono ancora 186 i palestinesi in detenzione amministrativa, e tra questi nove membri del Consiglio Legislativo Palestinese.
La detenzione amministrativa è una sorta di reclusione senza processo, di cui si serve il regime di Tel Aviv per arrestare palestinesi quando il capo di imputazione non è definito (o addirittura inesistente) e dura sei mesi, che possono essere prorogati fino a cinque anni. I detenuti palestinesi nelle carceri israeliane sono spesso vittime di abusi e torture da parte delle autorità carcerarie. Nel mese di febbraio, il Capo del Dipartimento del censimento del Palestinian Authority Ministry of Detainees, Abdul-Nasser Ferwana, ha dichiarato che il governo israeliano detiene 4800 palestinesi, suddivisi in 17 strutture, tra prigioni, centri di interrogatorio e detenzione, secondo quanto riportato da Alalam News Network.
Il Ministro per i Detenuti dell’Autorità Palestinese Issa Qaraqe ha dato voce alla protesta dei prigionieri, i quali chiedono che Israele ponga fine alla pratica della detenzione amministrativa, e ha definito il 9 maggio “La Giornata della Collera” . La detenzione amministrativa è una pratica ammessa dal Diritto Internazionale in casi eccezionali, ma il governo israeliano se ne serve sistematicamente per imprigionare i palestinesi in assenza di un’accusa formale e precisa, impedendo loro di consultare un avvocato e addirittura di conoscere il capo d’imputazione, che quasi sempre è definito come imprecisate “ragioni di sicurezza”.
L’unica “arma” di cui i prigionieri dispongono è lo sciopero della fame. L’esempio di Samer Al Issawi, in sciopero della fame per ben 277 giorni consecutivi, nel 2013 aveva portato all’attenzione dei media e della società civile l’assurda e drammatica condizione dei prigionieri politici nelle carceri israeliane. La rilevanza che ha avuto l’intera vicenda non è servita, però, al governo di Tel Aviv come monito, tanto che il parlamento israeliano, la Knesset, invece di discutere sulla necessità di sospendere l’abuso della pratica della detenzione amministrativa, sta lavorando al varo di una nuova legge che prevede il nutrimento forzato di chi sceglie lo sciopero della fame come forma di protesta. Una misura che lede profondamente la dignità dell’individuo, violando la sua volontà.
Le autorità carcerarie israeliane puniscono duramente i detenuti che scelgono di protestare con lo sciopero della fame, isolandoli, tenendoli incatenati per più di 10 ore al giorno, negando loro il sale che, insieme all’acqua, è indispensabile alla sopravvivenza. Nel 2012, in seguito ad un altro grande sciopero a cui avevano aderito più di 2 mila prigionieri palestinesi, il governo di Tel Aviv si era impegnato a non rinnovare più la detenzione amministrativa; impegno, come molti altri, a cui non ha tenuto fede.