Deportare i palestinesi di Gaza nel deserto del Sinai?
Nei giorni che hanno preceduto la guerra israeliana “Margine protettivo” su Gaza, giunta al suo 18esimo giorno, il parlamento israeliano ha tenuto una riunione a porte chiuse per discutere ed autorizzare la costruzione nel Sinai egiziano di complessi abitativi dove trasferire gradualmente la popolazione della Striscia di Gaza.
Se questi alloggi vanno intesi come sistemazioni definitive di resettlement della popolazione palestinese e se il transfer ha l’obiettivo di espellere i palestinesi dalle loro terre, allora è lecito definirli “campi”.
In quella stessa riunione si sarebbe messo a punto anche un percorso “legale” per giustificare la deportazione dei palestinesi qui definiti da Israele “una minaccia esistenziale per lo Stato, minaccia da neutralizzare, quindi da espellere”.
Novembre 2017 è il termine entro cui il piano di transfer dovrebbe essere portato a compimento.
I palestinesi che saranno trasferiti nel Sinai saranno compensati con 30mila dollari e ciascun edificio accoglierà fino a 20mila persone. Il costo dell’intero progetto si aggira intorno ai 280miliardi di dollari.
Il portavoce del governo egiziano Hani Salah a proposito ha detto: “Non esiste soluzione politica per una coesistenza pacifica tra le parti. Aiutiamo quindi i fratelli palestinesi ad avere una vita migliore in Egitto dove non dovranno patire le sofferenze e la repressione a cui li sottopone Israele”.
Stesse parole aveva dichiarato tempo prima il capo rabbino ashkenazita Yona Metzger quando aveva invitato la Gran Bretagna e l’Unione europea a facilitare il trasferimento della popolazione di Gaza nel deserto del Sinai.
E’ questo un progetto israeliano di vecchia data che rientra nel più ampio piano sionista di “ripulire la Palestina” dei suoi abitanti originari.
Era il 1955 quando Israele elaborò il progetto di trasferire i palestinesi dalla Striscia di Gaza verso il Sinai.
Su 1,8milione di abitanti, a Gaza 1,2milioni già sono profughi. Negli anni ’50 il progetto di transfer si realizzava sotto l’azione “internazionalizzata” dell’Unrwa, l’Agenzia Onu con competenza assistenziale verso i profughi palestinesi in Medio Oriente.
In quell’anno l’Agenzia Onu ottenne in concessione dal governo egiziano 230mila ettari di terreno nella Penisola del Sinai destinati ad accogliere 214mila palestinesi. 50mila ettari sarebbero andati a progetti per l’agricoltura gestiti dallo stesso ente.
Intenzionato a trasferire all’Egitto la questione e le responsabilità sui profughi palestinesi, nel 1967 il leader del partito laburista israeliano Yigal Allon propose una sua “soluzione al problema dei profughi palestinesi di Gaza”, suggerendone il trasferimento in Cisgiordania e nel Sinai.
A partire da quella data s’istituirono in Israele diversi fondi per finanziare la riuscita del progetto e con lo stesso obiettivo, nel 1970 Peres inaugurò il Trust Fund for the Economic Development and Rehabilitation of Refugees.
Questi fondi servirono a Israele per offrire abitazioni nel Sinai egiziano ai palestinesi di Gaza (come fu per il campo Canada, poi passato all’Egitto con il ritiro israeliano dal Sinai 1982). Una seconda soluzione, ancora in auge, sarebbe stata lo scambio di territori.
Pochi anni dopo, era il 1971, Ariel Sharon, all’epoca comandante delle forze israeliane nella Striscia di Gaza, fu l’artefice della fase successiva dell’implementazione di questo piano, rivedendolo personalmente nel 2004, poco prima del “disimpegno israeliano” (le colonie) da Gaza.
Sharon puntava a ridurre la densità di popolazione della Striscia di Gaza e da militare lo fece in modo “pragmatico”. Egli condusse brutali campagne militari su Gaza, spianando interi centri abitati e costringendo gli abitanti delle migliaia di case abbattute a volgere altrove, proprio nel campo Canada nel Sinai. Quello di Sharon è finora il più riuscito per il gran numero di palestinesi così espulsi.
I palestinesi che non si sarebbe riusciti a cacciare in questa fase sarebbero rimasti a Gaza “a proprie spese”, vale a dire che nei loro confronti si sarebbero perpetrati dei veri e propri massacri.
Nel 2004 il direttore del Consiglio per la Sicurezza nazionale Giora Einland rese nota la proposta di scambio territoriale avanzata all’Egitto (pensata anche dall’ex rettore dell’Università ebraica di Gersualemme, Yehoshua Ben-Arieh).
700Km2 nel Sinai egiziano da Rafah ad ovest di Al-‘Arish sarebbero stati concessi per il “resettlement dei palestinesi di Gaza” e l’Egitto avrebbe ottenuto in cambio 200Km2 di Negev meridionale collegati ad Eilat e alla Giordania da un tunnel lungo 10Km.
Confidando di essere stato minacciato da Israele con la sospensione degli aiuti Usa all’Egitto, nel 2008 Mubarak ammetterà di aver ricevuto dallo Stato ebraico la richiesta di scambio di territori dove accogliere 800mila palestinesi.
Stando a quanto affermato dallo stesso Mubarak, notoriamente collaborativo con Israele, egli respinse l’offerta, minacciando a sua volta di sollevare il polverone legale contro Israele per l’appropriamento indebito di risorse al largo delle coste del Sinai, e avvertendo di poter far saltare l’accordo a tre con l’Autorità palestinese di Ramallah per lo scambio di informazioni di Intelligence (sotto l’egida europea).
E pochi mesi fa, Mubarak ha confidato alla stampa locale di essere stato contattato nuovamente con la medesima proposta da Netanyahu, presentatosi questa volta con le mappe in mano.
Con tutta probabilità quel piano ha subito modifiche nel tempo, o è stato personalizzato dai leader politici e militari che ne hanno assunto il patrocinio di volta in volta.
Mentre è in corso un’altra guerra israeliana per l’eliminazione fisica del maggior numero di palestinesi della Striscia di Gaza, una ricostruzione delle sue fasi svela un avanzamento del progetto.
Il disimpegno israeliano prima, a seguire la rottura politica a Gaza tra Fatah e Hamas, l’embargo illegale su Gaza e le quotidiane aggressioni militari da cielo, mare e terra sono tutti passaggi del programma di espulsione e trasferimento dei palestinesi da Gaza.
Certamente qualcuno potrebbe qui obiettare la chiusura permanente da parte egiziana del valico di Rafah, unica via d’uscita per i palestinesi di Gaza. Ma si ricorda che dall’altra parte c’è un governo militare (quello di Al-Sisi) che manca di credibilità internazionale e di legittimità interna e che è pronto a collaborare con l’aggressore rispondendo a qualunque richiesta immediata che giunga da Israele.
Il transfer è annoverato tra i Crimini contro l’Umanità dalla legge penale internazionale ed è da essa inteso come la deportazione o il trasferimento forzato di persone per mezzo della loro espulsione o di altri atti coercitivi da un’area dove essi si trovano legalmente.
Il transfer e la deportazione si distinguono per l’attacco sistematico ed esteso (per la portata di vittime che miete) contro una popolazione civile, con la consapevolezza dell’attacco (la paternità statale di Israele che lo promuove).
di Elisa Gennaro