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Minacciosi fumi di guerra si addensano sul Mar Nero

di Cristina Amoroso

Gli antichi lo chiamavano Ponto Eusino, “mare ospitale”, poi con l’Impero Turco Ottomano prevalse il nome di Kara Deniz, “mare nero”, diffuso in quasi tutte le lingue moderne. Famoso nel mondo russo per la sua lussureggiante vegetazione e per l’ottimo clima, tanto che personalità come Stalin and Mikhail Gorbachev amavano soggiornarvi e vi possedevano ville.

Negli anni successivi alla fine della guerra fredda, la popolarità del Mar Nero come destinazione turistica è stata in costante aumento. Oggi, purtroppo, il Mar Nero appare avvolto da densi fumi di guerra che rimandano a quel teatro bellico che fu il Mar Nero nel corso della prima e della seconda guerra mondiale.

Cinque sono i Paesi che si affacciano sulle sue rive, oltre la Russia: Turchia, Bulgaria, Romania, Ucraina, Georgia, tutte e cinque nel medesimo schieramento.

La Turchia, la Bulgaria e la Romania attualmente fanno parte della Nato. L’Ucraina e la Georgia seguono il Piano d’azione per l’adesione (Map) alla Nato, introdotto nel vertice di Washington del 23-25 aprile 1999. La partecipazione al Map prevede per un Paese la presentazione di un rapporto annuale sui progressi fatti nel raggiungere i criteri stabiliti: la Nato provvede poi a rispondere a ciascun Paese con suggerimenti tecnici e valuta singolarmente la situazione dei progressi.

Della longa manus statunitense sull’Ucraina abbiamo più volte parlato. Sulla Georgia, la perla del Mar Nero, intendiamo spendere qualche rigo.

Ex repubblica dell’Unione Sovietica, offre un’ottima posizione strategica (confina a nord con la Russia e i territori contesi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, a sud con la Turchia e l’Armenia, a est con l’Azerbaigian e a ovest col Mar Nero).

Con l’indipendenza (1991) dall’Unione sovietica si svilupparono conflitti separatisti nelle regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, autoproclamatesi indipendenti. Nell’agosto del 2008, è scoppiato un breve conflitto militare tra Russia e Georgia, dopoché Tbilisi ha lanciato un’offensiva militare su larga scala contro l’Ossezia del Sud che richiedeva un’operazione di imposizione della pace di Mosca. E ‘ finito nel riconoscimento ufficiale russo delle due ex repubbliche autonome georgiane come stati indipendenti di Abkhazia e Ossezia del Sud.

Nel 2004 la “Rivoluzione delle rose” aveva portato al potere il presidente Mikheil Saakasvili, provocando al contempo un ulteriore allontanamento politico da Mosca.

Non è un caso che la Georgia si sia unita alla guerra in Afghanistan proprio nel 2004, diventando il Paese più grande non-Nato collaboratore con truppe della International Security Assistance Force in Afghanistan e fornendo due battaglioni di fanteria completi che servono con le forze degli Stati Uniti nella provincia di Helmand. Fin dall’inizio della loro missione, più di 11mila soldati georgiani hanno servito in Afghanistan.

Ora il piccolo Paese della Georgia ha il secondo più grande contingente di truppe straniere dopo gli Stati Uniti nella missione militare a guida Nato in Afghanistan – più di Gran Bretagna, Germania e Italia, dal momento che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno ridotto il numero delle forze in Afghanistan da 57mila nel mese di gennaio 2014 fino all’attuale livello di 13mila.

Con tali credenziali il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, inaugurando la-Georgia Nato Training comune e il centro di valutazione presso l’impianto militare di Krtsanisi, durante una visita in Georgia lo scorso agosto, è in grado di dare una valutazione altamente positiva sulla Georgia: “Il Paese contribuisce attivamente alle operazioni a guida Nato e coopera con gli alleati e gli altri Paesi partner in molti altri settori”.

La Russia si trova così non solo accerchiata dalle forze Nato, che alza il muro in Europa, aprendo simultaneamente dal 3 settembre i nuovi centri di comando dell’Alleanza in Romania, Bulgaria, Polonia e nei Paesi Baltici, ma viene continuamente provocata dalla politica dell’Alleanza “che ha l’obiettivo di espandere la propria influenza geopolitica, spesso utilizzando le risorse dei suoi Stati partner”, ha dichiarato ai giornalisti la portavoce del ministero Maria Zakharova.

La Russia comunque non permetterà alla Nato di lasciarsi coinvolgere in un confronto senza senso, ha affermato il capo della diplomazia di Mosca, Sergey Lavrov durante un seminario al ministero degli Esteri della Mongolia.

“Assistiamo ad un’escalation delle attività militari della Nato senza precedenti dalla fine della “guerra fredda” nel cosiddetto fianco orientale dell’Alleanza, per esercitare pressioni politico-militari sulla Russia con lo scopo di contenerla. Tutto questo è accompagnato da una campagna propagandistica aggressiva per demonizzare la Russia”, ha aggiunto Lavrov.

Certo nessuno vuole la guerra. Ma intanto continuano le esercitazioni navali nel Mar Nero, come “inutile dimostrazione di forza”. E gli Stati Uniti proseguono a mostrare i muscoli a Mosca, prevedendo per febbraio 2017 uno schieramento di uomini e mezzi sui confini est della Nato, che a sua volta invita l’Ucraina e la Georgia a partecipare ad una collaborazione “28 + 2”  nel Mar Nero. E, oltre la Russia, l’Abkhazia manifesta fortemente il suo atteggiamento negativo verso la cooperazione militare tra la Georgia e l’Alleanza, considerandola una provocazione pericolosa, una minaccia diretta per la sua sicurezza.

Finora tra le forze sul campo si sono verificati solo piccoli incidenti, incontri ravvicinati tra caccia russi e navi militari Usa sul Mar Nero o tra caccia Nato e l’aereo del ministro della Difesa russo sul Baltico, ma che impedirà che i recenti giochi di guerra, quali sono stati, si tramutino in concrete polveriere capaci di innescare un’ulteriore guerra?

Soprattutto se alla Casa Bianca siederà Hillary Clinton, la Lady Machbeth che con la sua ideologia serve perfettamente gli interessi del complesso militare-industriale e quelli finanziari che da esso traggono giovamento.

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