Dalle ceneri del colpo di stato nasceva il sogno di una grande Russia
Era un soleggiato giorno d’agosto; gran parte dell’Europa era ancora in ferie, in pochi anche nelle stesse redazioni giornalistiche erano pronti per una notizia che subito ha avuto del clamoroso: colpo di stato in Unione Sovietica. Il tutto avveniva il 19 agosto del 1991; era un lunedì, una Mosca ancora sonnolente, che si accingeva ad iniziare la settimana, si ritrovava di colpo i carri armati lungo le strade. Sono passati 22 anni da quelle ore così frenetiche e difficili per il popolo russo e non solo: forse, anche alla luce della nuova Russia dell’era Putin, è possibile iniziare ad effettuare un certo revisionismo storico non solo sul colpo di stato, ma anche sull’era Gorbaciov, ultimo leader dell’URSS.
Spesso il colpo di stato, portato avanti dalla “destra” del partito comunista sovietico, è stato etichettato come una macchia nera, un episodio cruento e dannoso per l’immagine di una Russia che aveva intrapreso la via delle riforme tramite il “democratico” Gorbaciov; in realtà, leggendo bene tra le righe della storia, gli autori del colpo di stato, volevano salvare il Paese da quell’abisso che poi negli anni ’90 la Russia toccherà con mano durante la presidenza Eltsin. Ma andiamo con ordine: in quale contesto matura il colpo di stato estivo del 1991? La salita al potere di Gorbaciov, fa intraprendere a Mosca la via della “perestrojka”, vale a dire un pacchetto di riforme che a poco a poco, nelle intenzioni del leader sovietico, dovevano cambiare il volto del Paese e prepararlo al terzo millennio sotto i principi della distensione e della democrazia. In realtà, la perestrojka aveva di fatto indebolito l’URSS, che nel giro di pochi anni ha dovuto fare i conti con un certo dissolvimento tanto dell’unità nazionale, quanto del blocco orientale dei Paesi posti sotto la propria influenza; si arriva così al 1989, con la “primavera orientale”, caratterizzata da proteste di piazza che hanno contribuito a piazzare dalla Polonia alla Romania un vero e proprio cuscinetto di governi filo–occidentali che hanno iniziato a circondare l’URSS e che ha avuto il proprio culmine nel novembre di quell’anno, con la caduta del muro di Berlino.
A livello interno, dopo oramai la fine della guerra fredda e la perdita della propria zona d’influenza, la situazione iniziava a diventare ingovernabile e si entrava in una fase di sfaldamento: le repubbliche baltiche iniziavano a scalpitare per l’indipendenza, ma anche il motore dell’URSS, la repubblica russa, dava segni di crescente insofferenza. Nel giugno del 1991 poi, a Mosca faceva la propria comparsa sulla scena politica Boris Eltsin, uscito vittorioso nelle prime elezioni multipartitiche tenute presso il Soviet di Russia; di fatto, in quelle settimane secondo molti, nella capitale russa si aveva la sensazione che nel giro di pochi metri convivevano due poteri sovrani sullo stesso territorio: l’URSS di Gorbaciov e la Russia di Eltsin. Un miscuglio politico che iniziava ad agitare i vertici del Partito Comunista, che vedevano in tutto ciò un’operazione volta a svendere la Russia al sistema occidentale; così, approfittando delle vacanze in Crimea di Gorbaciov, si dava inizio al colpo di stato: i carri armati circondavano le sedi istituzionali russe e sovietiche, Gorbaciov veniva tratto, di fatto, in arresto nella sua dacia che usava per le vacanze, mentre in tv compariva uno dei leader della nuova troika che prendeva il potere a Mosca, Gennadij Janaev: “E’ in pericolo l’unità della madre patria – iniziava il comunicato – la politica delle riforme è in un vicolo cieco, le forze estremistiche hanno intrapreso la via della liquidazione dell’Unione Sovietica; il potere viene usato per interessi del tutto alieni al popolo e lo scivolone verso il mercato ha provocato un’esplosione di egoismo. La Costituzione è stata calpestata e bisogna intervenire contro queste derive.” Tra le righe, si evidenzia quindi una certe insofferenza verso una stagione delle riforme che, secondo i golpisti, stava rischiando seriamente di minare la stessa unità della Repubblica e che aveva trasformato l’URSS da principale antagonista degli USA ad uno Stato che aveva perso qualsiasi importante ruolo internazionale.
Quella che poi negli anni è stato visto, dalla stampa occidentale, come un vano tentativo di facinorosi di ostacolare il cammino verso la libertà inaugurato dal “buon” Gorbaciov, era in realtà l’ultimo tentativo di salvare l’URSS prima del suo collasso tanto politico quanto economico; i golpisti, avvertivano già il cattivo odore della speculazione internazionale, degli affari d’oro da fare con le massicce privatizzazioni effettuate in nome del mercato, a discapito della maggioranza della popolazione. Vi era anche il tentativo di non far spegnere quel focolare di patriottismo russo, che da decenni aveva alimentato la volontà di contrapposizione al sistema occidentale. Ma il golpe non era riuscito: Boris Eltsin invitava, tramite un discorso tenuto sopra uno dei carri armati puntati verso il centro di Mosca, la popolazione a ribellarsi al colpo di stato ed a fermare i blindati. In effetti, molta gente si riversava in strada, ma l’apporto decisivo alla fine del golpe, era dato dagli stessi autori del colpo di stato ed al loro buon senso: Janaev prima e gli stessi soldati poi, davano ordine infatti di non sparare e non creare alcun spargimento di sangue; erano in effetti pochi gli scontri per le strade moscovite ed alla fine l’esercito decideva di stare dalla parte di Eltsin, l’unico che, nel bene o nel male, veniva considerato come possibile risolutore della crisi.
Finiva quindi il colpo di stato e Gorbaciov tornava in sella, anche se ancora per poco: puntualmente infatti, pochi mesi dopo si verificava quanto prospettato dai golpisti. Il 25 dicembre del 1991 infatti, alle 18:35 la bandiera dell’URSS veniva ammainata per sempre dal Cremlino ed ogni potere passava nelle mani della Repubblica russa di Eltsin; da qui, un percorso fatto di privatizzazioni, di sventurate operazioni politiche e finanziarie, con una Russia che iniziava a riempirsi di oligarchi da un lato e di barboni dall’altro e che soprattutto perdeva qualsiasi ruolo importante nella politica internazionale. Uno smembramento che, se ha liberato diversi Paesi dal gioco comunista, ha però privato il mondo di una contrapposizione rispetto allo strapotere USA e tutto ciò sta oggi producendo quei risultati agghiaccianti sotto gli occhi di tutti; ma rispetto a quella Russia sorta dopo il fallito colpo di stato e dopo il totale fallimento di Gorbaciov, oggi a Mosca l’aria è del tutto diversa. Vladimir Putin è riuscito a ridare voce al senso patriottico russo e, oltre ad uno sviluppo interno molto importante sia a livello sociale che economico, la Russia sta riuscendo a riacquistare in questi 13 anni di presidenza Putin anche un importante ruolo politico internazionale, come dimostrato dalla chiusura definitiva della guerra in Cecenia, dalla vittoria militare in Ossezia nel 2008, dal recente caso Snowden e dall’importanza crescente del BRICS (di cui la Russia è parte trainante) sullo scacchiere mondiale. Da un recente sondaggio, i russi oggi danno in gran parte ragione a chi sosteneva le ragioni del golpe di 22 anni fa: a distanza di questo tempo, oggi tanto a Mosca quanto nel resto del pianeta, è possibile tracciare un preciso giudizio storico sul quadro e sul contesto di quella delicata era.