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Dalla Cirenaica la speranza di una nuova Libia

di Salvo Ardizzone

La Libia potrebbe essere un Paese ricco, galleggia su petrolio e gas, ma da tre anni, dalla fine della guerra civile, è una Nazione distrutta: niente Stato, niente servizi, niente sicurezza, c’è solo un Popolo che vuole andare avanti.

Il fulcro di quella ricchezza è Agedabja, dove convergono gli oleodotti della Cirenaica, che produce la gran parte del greggio libico. È una città in abbandono, ma anche ai tempi di Gheddafi non è che andasse tanto meglio: povertà e desolazione ora come allora. C’è stata la ribellione, ma, finita la guerra, le cose non sono migliorate, anzi; a Tripoli un simulacro di governo incassava i soldi del petrolio che finivano in tangenti, nei conti personali di oscuri personaggi emersi dalla rivolta e a sovvenzionare milizie e fazioni, Fratelli Mussulmani in testa, che controllavano (e controllano) la capitale. Niente per le scuole, gli ospedali, i servizi minimi, e niente neppure per la sicurezza, vista d’ostacolo per il potere personale di tanti; nel frattempo, i qaedisti di Ansar al Sharia si sono impadroniti di Derna e infiltrati a Bengasi.

In questo quadro desolante, di Paese fallito e senza legge, s’è fatto avanti Ibrahim Jatrham: è un giovane della Cirenaica di 32 anni, nel 2005 fu arrestato coi suoi 5 fratelli e rinchiuso ad Abu Salim, il carcere di Tripoli famoso per le violenze e le torture cui venivano sottoposti i detenuti. Quando nel 2011, all’inizio della rivolta, fu rilasciato, assalì la caserma di Beida e con le armi prese si mise a capo dei rivoltosi della sua zona, creando la brigata Hamza arrivata a contare migliaia di miliziani.

Dopo la guerra, riconoscendone la forza e il controllo del territorio, da Tripoli l’hanno nominato a capo del Corpo di Guardia del Petrolio, con il compito di proteggere le installazioni petrolifere e i terminali del greggio sulla costa.

Per un pò le cose han funzionato, ma il 5 agosto Jatrham e i suoi uomini hanno bloccato i pozzi e il flusso del petrolio: avevano constatato che di tutta quella ricchezza alla Cirenaica non tornava nulla, si perdeva nei mille rivoli della corruzione. Occuparono pure i porti petroliferi di Es Sider, Brega e Ras Lanuf, nella Sirte, e cominciò una lunga trattativa.

Alì Zeidan, il primo ministro fantoccio in balia delle milizie le provò tutte; dapprima ha tentato di risolvere il problema con la forza, aizzando le milizie di Misurata (che hanno stretti contatti con quelle integraliste che spadroneggiano anche a Tripoli); poi ha seguito la vecchia maniera: alcuni assegni e la promessa di ministeri. Ma Jatrham aveva e ha altro in testa: un progetto di federalismo per lo sviluppo parallelo di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan; con le risorse che tornano sul territorio che le ha prodotte e non si perdono lontano; con l’eliminazione dell’influenza degli integralisti; con una nuova legittimazione popolare del Congresso (il Parlamento provvisorio), completamente delegittimato dopo le proteste generali del 7 febbraio.

A settembre ha creato un “Consiglio Politico della Cirenaica” con un abbozzo di Governo autonomo, ma senza i ministeri di Esteri e Difesa, perché l’intenzione dichiarata è “di far rinascere la Cirenaica, non separarci dalla Libia”. Infine, visto che le trattative andavano per le lunghe, ha fondato una compagnia petrolifera, la Lybia and Oil Corporation, per vendere il greggio sul mercato e l’8 marzo, forzando la mano a Tripoli, nel porto di Es Sider ha caricato circa 36 ml di $ di greggio sulla Morning Glory la cui storia è nota. Sfuggita al blocco delle unità del Governo centrale, è stata recuperata dai Seals dell’ Us Navy; ma la vicenda è costata il posto a Zeidan, costretto a dimettersi e a fuggire dalla Libia.

Nel frattempo, il 16 marzo, Jatrham ha riunito ad Agedabja quasi tutti i capi tribù della regione, ottenendo l’appoggio di Fathalla, sceicco degli Awad Alì, del capo dei Tabù (i neri del sud) Ahmed Alenghi e del capo degli Zwia. Non è ancora l’unità di tutta la Cirenaica, ma quell’ampio sostegno gli ha dato la legittimazione per trattare con Tripoli da una posizione di forza. E stavolta le cose sembrano procedere diversamente: con Al Thinni, il nuovo premier, le trattative sono andate avanti; a breve saranno riattivati i terminal petroliferi e in cambio alla Cirenaica andrà un terzo del ricavato; avrà pure la sede della Banca Centrale libica e gli uomini di Jatrham sorveglieranno pozzi e installazioni. Insomma, un embrione di quel federalismo chiesto a gran voce.

Certo, la Montagna Verde, il vasto altopiano che va da Bengasi a Tobruk, è in gran parte sicuro perché le sue tribù sono unite, ma per il resto la Cirenaica è infestata da bande di predoni, traffici e ogni genere di contrabbando; e sul mare, Derna e Bengasi sono in mano ai jihadisti di Ansar Al Sharia e di altre formazioni terroristiche.

Occorrerà ancora molto tempo e molto sangue per stabilizzare la regione, ma per il momento Jatrham ha l’appoggio di vasta parte della Cirenaica, e quell’idea di federalismo che, partendo dalle tribù e dalle comunità locali, è l’unica che possa mettere d’accordo milizie, città e tutte le realtà emerse dalle macerie d’uno stato centrale che non esiste più.

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