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Crolla il prezzo del petrolio, l’Arabia Saudita lancia la sua nuova guerra

di Salvo Ardizzone

L’Arabia Saudita è scesa in guerra con l’ultima arma che le è rimasta, dopo che ha fallito nei suoi scopi con fiumi di denaro, montagne d’armi ed eserciti di tagliagole. Il prezzo del petrolio è crollato del 35% dal giugno scorso, allora era di 115 $ al barile, ora, dopo l’ultima riunione dell’Opec di giovedì 27 che ha mantenuta invariata la produzione, è sceso a 71 $.

In un mondo ancora in crisi, con una domanda di energia che langue e sempre nuovi pozzi che vengono attivati sotto la spinta di prezzi che erano alle stelle, Riyadh da mesi spinge al ribasso le quotazioni, rifiutando di ridurre l’estrazione. La sua non è una politica suicida, ma una lucida scelta per mettere in crisi i suoi nemici e i loro alleati, riaffermando il potere della sua arma strategica.

Il petrolio saudita, e del Golfo in genere, è quello che ha i più bassi costi d’estrazione al mondo; schiacciando in basso le quotazioni, l’Arabia perde valanghe di denaro ma in primo luogo mette fuori mercato lo shale oil americano (e scoraggia altri Stati a provarci); è stata questa la scusa ufficiale con cui ha respinto le richieste di Venezuela, Nigeria ed Iran di tagliare le produzioni per mantenere alti i prezzi; in realtà è stato un brutale messaggio di potere alle lobby che stavano pensando di poter fare a meno di lei. Lo shale, infatti, comincia ad aver margini di utile a partire dai 70 $ al barile, e ora rischia di mandare in rovina gli investitori che vi hanno scommesso, in genere nuove compagnie fortemente appoggiate dall’Amministrazione Obama ed avversate dalle vecchie Major del mercato tradizionale, che rimangono le prime alleate del Golfo.

D’altronde, in un mondo che ha sovrabbondanza di greggio, per chi tagliasse l’estrazione in un cartello dei produttori infranto, significherebbe solo perdere quote di mercato. Con il petrolio al livello più basso dal 2010, sono colpite duramente le economie di Russia, Venezuela ed Iran; è la russa quella messa più sotto tensione, con il rublo che da giugno ha perso il 27%, indebolito dalla guerra finanziaria e dalle sanzioni orchestrate da Washington; ma anche Venezuela ed Iran sono sotto gli attacchi coordinati che provengono dagli Usa quanto dal Golfo, per colpire chi non si riesce a piegare ai propri fini con l’ultima arma rimasta.

La prossima riunione dell’Opec si terrà a giugno del 2015, per allora molte cose saranno cambiate ed è probabile una ribellione generale contro il Golfo di cui s’avvertono tutte le avvisaglie; ci sono state numerose riunioni di Pesi non Opec (come Russia e Messico) insieme ad altri del cartello che stentano ad accettare ancora una sudditanza fatta sulla loro pelle. Sarà l’ennesimo fronte indotto a saldarsi contro chi s’intestardisce a giocare il tutto per tutto per mantenere il proprio strapotere. 

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