Cresce il Pil negli Usa, insieme a diseguaglianze e povertà
Obama ha appena annunciato trionfante che fra luglio e settembre l’economia Usa è cresciuta del 5%, il livello più alto dal 2003; peccato che nel novembre scorso, un elettorato depresso e in affanno gli abbia voltato le spalle nelle elezioni di midterm. È l’ennesima dimostrazione di come il Pil sia il più bugiardo degli indicatori, buono solo per multinazionali e big della finanza: indica l’aumento della ricchezza, certo, ma non a chi sia andata e come.
La società americana manifesta una marcatissima polarizzazione fra chi ha tanto, anzi, tantissimo, e chi ha sempre meno; nei lunghi anni di crisi e fino ad ora, non solo chi stava già nel disagio sta sempre peggio, ma la classe media ha visto il proprio reddito letteralmente falcidiato e per molti dei suoi appartenenti si sono spalancate le porte della povertà.
Ne abbiamo parlato molte volte: una distribuzione della ricchezza su una vasta fascia di popolazione, non solo assicura benessere ad ampi settori della società, ma, poiché la maggior parte di quei redditi finisce in acquisti di beni e servizi, stimolando in maniera fisiologica i consumi, determina la crescita d’un sistema. Vice versa, una distribuzione della ricchezza concentrata su pochi, deprime consumi e sviluppo perché, in buona parte, viene destinata a impieghi speculativi o finanziari per le remunerazioni più alte che offrono, sottraendola ai consumi e al ciclo produttivo. Infatti, in un’ottica unicamente utilitarista, gli investimenti che producono beni e servizi garantiscono utili minori e in maggior tempo, e comunque, in una simile situazione, la domanda interna scenderebbe e non si saprebbe a chi vendere una produzione crescente. In questo modo la società finisce per impoverirsi sempre più.
È un concetto semplice e sperimentato infinite volte, che economisti come Stiglitz, Krugmann o Piketty hanno urlato e urlano da tempo, a cui i neoliberisti, con arroganza pari alla malafede, replicano con la strampalata teoria del “trickle down”, il “gocciolamento”, secondo la quale la ricchezza, comunque prodotta, finisce per scendere sempre fino agli strati più bassi della società.
È un modello mai dimostrato e sempre smentito dai fatti, perché sistematicamente si ripropone l’effetto opposto; la ricchezza, drenata dai livelli più bassi di reddito, non vi torna mai e, con la contrazione dei consumi (che sono sostenuti soprattutto dai redditi medio-bassi che, come detto, vengono spesi per la stragrande parte in acquisti di beni e servizi), è tutta la società che s’impoverisce in una spirale infernale.
Negli Usa, nei primi 9 mesi del 2014, è vero che la disoccupazione è continuata a scendere, ma salari e stipendi sono super compressi (anche per i lavoratori qualificati); è su questa contrazione delle retribuzioni che si basano i profitti e nella gran parte la competitività delle aziende: è molto più semplice e assai più economico che investire su innovazione, miglioramento dei sistemi di produzione o qualificazione reale del personale.
Laggiù (ma purtroppo non solo laggiù), le grandi società hanno ripreso ad assumere ma, malgrado gli utili stratosferici, a condizioni assai peggiori che nel passato: stipendi e salari si sono fermati sotto la pur bassissima inflazione, e andrà sempre peggio, perché le imprese non hanno alcuna intenzione di redistribuire, neppure in piccola parte, gli extraprofitti che realizzano. Occorrerebbero interventi sul piano fiscale e sociale, finalizzati a modificare la distribuzione della ricchezza, ma parlare di questo nella patria del liberismo più sfrenato equivale a una bestemmia.
Per questo, malgrado si viaggi verso la piena occupazione, quella che era la classe media s’assottiglia e vede drasticamente diminuire le proprie risorse; l’area della povertà e del disagio esplode; crescono vertiginosamente gli homeless. È la fotografia fedele di una società basata apertamente sulle diseguaglianze.
Il fatto è che molti, troppi soloni, invece di condannarne la vergogna la prendono per modello, continuando a rifilarci le favole bugiarde del Pil come unico metro e del liberismo come unico modello.