Corno d’Africa, Integrazione politica e interessi italiani
Le recenti iniziative diplomatiche nel Corno d’Africa rappresentano un passo positivo verso la sua stabilizzazione. Tuttavia non può abbattere tutte le barriere all’integrazione di una regione d’alto valore strategico e geopolitico, che ha risvegliato l’interesse anche dell’Italia.
Il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, dopo gli sforzi compiuti per raggiungere la normalizzazione con l’Eritrea, si è imbarcato in una serie di missioni diplomatiche attraverso il Corno d’Africa, per contribuire a risolvere alcuni dei problemi profondi e avviare un processo di integrazione politica. Mentre la diplomazia di Abiy ha ricevuto elogi, ammirazione e copertura mediatica positiva sia nella regione che nel resto del mondo, chiaramente non è riuscita a produrre risultati pratici sul campo e ha persino portato a nuove tensioni.
L’accordo di cooperazione tripartita tra Etiopia, Eritrea e Somalia, ad esempio, ha generato nuove preoccupazioni tra i Paesi limitrofi sui piani dell’Etiopia per la regione. Il Somaliland ha preso l’impegno dell’Etiopia di rispettare pienamente l’integrità territoriale della Somalia come indicativo di un cambiamento nella politica dell’Etiopia che potrebbe non essere nell’interesse della Somalia. Inoltre, i rinnovati legami diplomatici dell’Etiopia con l’Eritrea e la Somalia hanno fatto sì che i suoi alleati tradizionali, il Sudan e Gibuti, si sentissero emarginati.
Ostacoli all’integrazione tra gli Stati del Corno d’Africa
La prima barriera all’integrazione nel Corno d’Africa è la diffusa e radicata sfiducia tra gli Stati. Deficit di fiducia aumentato dalle animosità storiche, dalle minacce alla sicurezza, dai sospetti radicati tra i funzionari statali. Conflitti in corso e gravi controversie transfrontaliere in materia di risorse, che insieme hanno sfollato più di 10 milioni di persone e hanno portato alla presenza di quattro missioni di pace (in Darfur, Sudan, Sudan-Sud Sudan, Sud Sudan proprio e Somalia) e presenza continua di oltre 50mila truppe di mantenimento della pace delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana nella regione rappresentano un altro ostacolo all’integrazione politica e alimentano il deficit di fiducia.
Conflitti di confine tra Sud Sudan e Sudan sul futuro di Abyei e tra Eritrea ed Etiopia per il controllo di città come Badme persistono ancora. Kenya e Somalia sono bloccati in una disputa sul loro confine marittimo nell’Oceano Indiano, e Kenya e Uganda stanno ancora gareggiando sulla minuscola isola di Migingo nel lago Vittoria.
Altro fattore geopolitico cruciale nelle dinamiche tra gli Stati del Corno d’Africa è rappresentata dal Nilo e la gestione delle sue acque. Le acque dei due affluenti sono divise tra Etiopia, Tanzania Uganda e Kenia. La Diga del Rinascimento sul Nilo Azzurro potrebbe comportare una distorsione del flusso del corso principale del Nilo.
L’interferenza straniera, il grande ostacolo all’integrazione
L’interferenza straniera nella regione è un ulteriore ostacolo all’approfondimento della cooperazione e dell’integrazione. Strategicamente posizionato nel principale nodo geopolitico e geoeconomico del Mar Rosso e del Canale di Suez, il Corno è anche un campo di battaglia per le forze globali che lottano per il controllo dei grandi mercati nazionali e dei domini marittimi.
Attualmente la regione ospita decine di migliaia di truppe straniere. Il piccolo Gibuti è il principale avamposto di Africom nel continente. Migliaia di truppe statunitensi sono di stanza a Camp Lemonnier, che è anche utilizzato da Francia, Italia, Spagna Cina e Giappone e prossimamente anche dall’Arabia Saudita. In Eritrea sono presenti gli Emirati Arabi Uniti dal 2016 nel porto di Assab, ed Egitto e Israele – seppure non in maniera ufficiale – avrebbero una propria presenza nelle isole antistanti il Mar di Massua e Assab. In Somalia i turchi hanno costruito le proprie postazioni, oltre che a Suakin in Sudan e nel Somaliland vi è una base emiratina a Berbera.
Interessi italiani nel Corno d’Africa
L’Italia considera oggi la stabilizzazione del Corno d’Africa una delle sue priorità strategiche di politica estera, non solo per questioni preminentemente di sicurezza (Contrasto all’immigrazione clandestina, lotta al terrorismo internazionale e alla pirateria) ma soprattutto per la creazione di partnership nuove o per rinforzare quelle di vecchia data, anche se è molto in ritardo rispetto a Paesi come la Cina che vanta una presenza ultradecennale in Etiopia ed Eritrea.
Nel biennio 2017-2018 l’Italia ha donato oltre 81 milioni di euro per interventi umanitari e di sviluppo in Etiopia, Somalia ed Eritrea, e ha erogato crediti di aiuto all’Etiopia pari a 47 milioni di euro. Secondo i dati Sace, l’Etiopia è il quarto mercato di destinazione dell’export italiano in Africa sub-sahariana, mentre l’Italia il secondo partner commerciale, primo fornitore e terzo cliente a livello europeo. Circa la metà delle esportazioni nazionali sono rappresentate da macchinari e apparecchiature, mentre le importazioni pesano per circa i due terzi nel settore agricolo e per il restante terzo nelle produzioni conciarie e tessili.
L’interscambio commerciale, ancora al di sotto delle reali potenzialità, si assesta sui 276,6 milioni di euro nel 2017. Gli stanziamenti e gli investimenti nel Paese e nella regione potrebbero aumentare anche in funzione del processo di stabilizzazione appena avviato. Anche in tale prospettiva l’Italia punta ad assumere un ruolo cardine nella fase di stabilizzazione successiva all’accordo tra Etiopia ed Eritrea. Durante la visita in Etiopia ed Eritrea, nelle quali il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha incontrato i leader locali Abyi Ahmed e Isaias Afewerki, rispettivamente ad Addis Abeba e Asmara, ha ricordato l’importanza della presenza italiana dopo la pacificazione tra i due Paesi. In particolare durante gli incontri in Etiopia, i governi di Roma e Addis Abeba hanno firmato un accordo per un prestito e una sovvenzione del valore complessivo di 22 milioni di euro, a conferma di un trend bilaterale positivo.
di Cristina Amoroso