Corea: perché Kim Jong-un s’è deciso a trattare?
Dietro le trattative aperte da Kim Jong-un, Leader supremo della Repubblica Popolare Democratica di Corea, non c’è improvvisa voglia di distensione, ma solidi interessi.
Kim Jong-un ha deciso di aprire le trattative con la Corea del Sud a Panmunjaeon, la storica località a cavallo del 38° parallelo, per almeno due motivi che al momento poco hanno a che vedere con un processo di pace: il primo è che Pechino ha tutto l’interesse a smorzare le tensioni che la stanno danneggiando; il secondo sta nel fatto che la Corea del Nord è ormai entrata fra le potenze nucleari, centrando il suo obiettivo più importante.
A Pechino conviene continuare a proteggere il regime nord coreano ed evitare che imploda, sia per impedire che i soldati Usa giungano fino ai suoi confini, sia per scongiurare una catastrofe umanitaria che gli getterebbe in grembo milioni di profughi. D’altronde, la Cina non è affatto felice che Kim Jong-un, considerato inaffidabile, disponga dell’arma atomica, e non può accettare che la crescente tensione dia agli Usa la scusa per militarizzare l’area, ufficialmente per contrastare Pyongyang, nei fatti per circondare Pechino. Una situazione che ostacola fortemente i progetti d’espansione economica e politica della dirigenza cinese.
È un fatto che, ormai da tempo, la Cina sia l’unica a poter esercitare efficaci pressioni sul leader nordcoreano perché freni il suo attivismo; da molti indizi è assai più che verosimile che Pechino abbia intensificato le pressioni economiche e diplomatiche, cominciando ad applicare le sanzioni energetiche e finanziarie decise dall’Onu; non per intero, perché non ne ha interesse, ma abbastanza per condizionare Pyongyang.
Del resto, e veniamo al secondo motivo, i successi dei test missilistici e nucleari hanno ormai fatto della Corea del Nord una potenza nucleare, assicurando a Kim Jong-un di non dover fare la fine di Gheddafi o Saddam, e aumentando grandemente il suo potere negoziale, soprattutto nei confronti della Corea del Sud, che per prima sconterebbe una catastrofe nucleare.
Raggiunto questo obiettivo, è interesse della dirigenza nord coreana incassare i dividendi politici piuttosto che continuare a rinfocolare la tensione. D’altronde, per la Corea del Nord difficilmente potrebbe ripresentarsi un quadro internazionale più propizio, con gli Usa di Trump in stato confusionale e con una credibilità in caduta libera, e con il presidente sud coreano Moon Jae-in assai più propenso alla trattativa di quanto non fosse la premier Park, deposta per uno scandalo politico dipanatosi fra il 2016 e il 2017.
Per Kim Jong-un, consolidata la leadership e accresciuto il proprio peso, adesso è tempo di trattative da una posizione di forza, non di inutili rotture.
di Salvo Ardizzone