Continuano i raid farsa contro l’Isil, mentre Ankara massacra i curdi sul confine
A Kobane i curdi combattono ferocemente casa per casa contro le bande dell’Isil, consapevoli che una resa li consegnerebbe ai boia del “califfato”. Nel frattempo proseguono, al rallentatore, i tanto strombazzati raid della coalizione montata da Obama: secondo i dati comunicati dallo stesso Centcom, a martedì scorso, erano complessivamente 354: 251 in Iraq dall’8 agosto (!) e 103 in Siria negli ultimi dodici giorni. Un ritmo semplicemente ridicolo per le forze messe in campo, giusto il minimo per raccontare ai media la favola che si sta facendo qualcosa. Ma anche per propinare la storiella che i soli attacchi dal cielo (che non si fanno) sono inefficaci per sconfiggere l’Isil, occorrono forze di terra; un modo chiaro per inventare la necessità di un’altra invasione.
Per inciso, con le risorse tecnologiche (satelliti, ricognitori e droni) e umane (forze speciali a centinaia già nel teatro) per identificare e designare i bersagli, solo a volerlo, le forze del “califfato” sarebbero state incenerite già da tempo. Appunto, solo a volerlo.
Intanto, mentre nella città curda è in corso una battaglia disperata, a poca, pochissima distanza, Ankara ha concentrato le sue truppe: sono circa 10mila uomini, appartengono alle brigate meccanizzate 70^ e 16^ del 7° Corpo d’Armata; hanno carri da battaglia e blindati e sono appoggiate da reparti d’artiglieria e del genio, oltre che da una copertura aerea seria, non da farsa come quella della sedicente coalizione. Potrebbero spazzare via le colonne dell’Isil in poco tempo, ma Erdogan ha detto chiaramente che per lui il Pkk (a cui appartengono vasta parte dei combattenti curdi di Kobane) rappresenta un nemico uguale allo Stato Islamico, e non ha alcuna intenzione d’aiutarlo.
In realtà, la Turchia ha armato, rifornito e finanziato il “califfato” da sempre; ancora adesso funge da interessato intermediario per i suoi traffici d’ogni tipo, in testa la vendita del petrolio rubato dai pozzi siriani ed iracheni. Ora, cogliendo l’occasione dei massacri e dell’ondata di profughi, Erdogan s’è fatto autorizzare dal Parlamento a un intervento in Siria con l’Esercito, ma per muoversi ha posto quattro condizioni, ribadite più volte, alla comunità internazionale: chiaro impegno occidentale alla rimozione di Assad, istituzione di una no-fly zone che impedisca all’aviazione di Damasco di agire contro i “ribelli”, istituzione di una larga fascia cuscinetto lungo i confini presidiata dalle sue truppe, impegno internazionale ad armare e addestrare gruppi siriani “moderati” (leggi controllati da Ankara, ovvero dalla Fratellanza Musulmana). Insomma, assicurarsi la caduta di Assad e mettere saldamente piede in Siria con il beneplacito della comunità internazionale; a queste condizioni l’Isil, che è stato foraggiato alla grande per raggiungere questi scopi, diverrebbe inutile e potrebbe disfarsene.
Nel frattempo la forza la usa brutalmente contro i manifestanti curdi che protestano per l’inerzia di Ankara dinanzi al massacro dei loro fratelli dall’altra parte del confine: i morti negli scontri sono già 18. A quella gente viene impedito d’andare in soccorso della loro gente, di portare aiuti, mentre a tutt’oggi i miliziani dell’Isil, chi li fiancheggia e la merce che barattano possono tranquillamente passare da una parte all’altra.
Ancora una volta è l’ipocrisia e il cinismo a guidare la comunità internazionale, che con le favole dei media giustifica gli interessi più spudorati.