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Il colore della mia pelle non è un crimine, lo è il tuo razzismo

Gli Stati Uniti stanno attraversando disordini razziali diffusi a seguito dell’uccisione di George Floyd, il cui grido di aiuto “Non riesco a respirare”, pochi minuti prima che morisse sotto il ginocchio di un ufficiale di polizia di Minneapolis il 25 maggio scorso, è divenuto uno slogan mondiale per protestare contro il razzismo sistemico americano e la brutalità della polizia.

L’omicidio di George Floyd, un nero di 46 anni sospettato di possedere una banconota da 20 dollari contraffatta, ha scatenato manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo. 

Catturato dalla telecamera di un telefono di semplici cittadini, il video virale mostra un ufficiale di polizia bianco, Derek Chauvin, che preme un ginocchio sul collo di Floyd per quasi nove minuti mentre si trova ammanettato a faccia in giù per strada. “Non riesco a respirare”, dice ripetutamente Floyd mentre altri tre ufficiali guardano. “Secondo la denuncia presentata al tribunale, negli ultimi tre minuti, Floyd non ha risposto e non ha avuto pulsazioni, ma gli ufficiali non hanno fatto alcun tentativo per rianimarlo. Chauvin ha tenuto il ginocchio sul collo di Floyd anche mentre i medici accorsi tentavano di curarlo. 

L’incidente di per sé è abbastanza straziante da suscitare indignazione e orrore in tutto il mondo per la perdita di una vita per mano di chi questa vita doveva proteggerla. Purtroppo, il cancro del razzismo contro gli afro-americani negli Stati Uniti è presente da centinaia di anni.

Brutalità della polizia e razzismo

Una ricerca rapida e semplice online farà apparire oltre cento nomi di afroamericani che sono stati uccisi dalla polizia o in custodia di polizia mentre erano disarmati. In effetti, “Non riesco a respirare” di Floyd è stato un’eco inquietante di ciò che Eric Garner aveva ripetuto 11 volte prima di perdere conoscenza mentre giaceva a faccia in giù sul marciapiede. Garner, un uomo afroamericano di 44 anni, è morto il 17 luglio 2014, dopo che un ufficiale della polizia di New York, Daniel Pantaleo, per arrestarlo lo ha stretto in una morsa fino a soffocarlo. Garner era sospettato di vendere sigarette singole senza francobolli fiscali. L’hashtag “#ICantBreathe” ha ottenuto supporto in tutto il mondo con oltre 1,3 milioni di tweet nel dicembre 2014 dopo che il funzionario è stato assolto da qualsiasi accusa.  

Associato al movimento Black Lives Matter, “I Can’t Breathe” è diventato uno slogan cantato dai manifestanti contro la brutalità della polizia e il razzismo istituzionale negli Stati Uniti. 

Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Robert O’Brien, ha affermato che non crede nel razzismo sistemico nella polizia e parla di alcune “mele cattive” all’interno delle forze dell’ordine. Ciò non cambia gli evidenti fatti statistici che gli afro-americani, nonostante costituiscano solo il 13% della popolazione americana, hanno una probabilità due volte e mezzo più alta rispetto agli americani bianchi di essere uccisi dalla polizia. Gli adolescenti neri hanno 21 volte più probabilità degli adolescenti bianchi di essere uccisi dalla polizia. 

I tanti giovani uccisi senza un perché

Un caso davvero tragico, che viene accreditato come uno dei numerosi omicidi della polizia di neri americani che hanno scatenato il movimento Black Lives Matter, è la morte del dodicenne Tamir Rice, che stava giocando in un parcheggio con una pistola giocattolo a Cleveland, quando l’agente di polizia, Timothy Loehmann, uscì dall’auto e sparò immediatamente al ragazzo, che morì in ospedale il giorno successivo. L’ufficiale non venne accusato dell’omicidio, scatenando le proteste pubbliche contro la brutalità della polizia contro i neri. Le proteste si intensificarono ulteriormente dopo la decisione della giuria di non accusare l’agente di polizia che uccise Michael Brown, un uomo di colore di 18 anni, che, secondo testimoni oculari, era disarmato e aveva le mani alzate prima che gli sparassero. “Hands Up, Don’t Shoot” divenne lo slogan delle proteste di Ferguson

Secondo uno studio condotto da ricercatori della Northeastern e della Harvard University, che ha analizzato le sparatorie mortali della polizia in 27 stati degli Stati Uniti dal 2014 al 2015, è stato rivelato che tra coloro che erano “disarmati e sembravano non mostrare alcuna minaccia obiettiva alla polizia, quasi due terzi delle vittime erano ispanici o neri”.

La posizione di Trump

Inoltre, uno studio del 2019 dell’ufficio del censimento degli Stati Uniti e Statistia.com mostra che gli afro-americani hanno maggiori probabilità di essere colpiti a morte dalla polizia rispetto ad altri gruppi etnici. Gli Stati Uniti stanno attraversando i disordini razziali più diffusi della sua storia da quando Martin Luther King Jr. venne assassinato da un suprematista bianco nel 1968.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, le cui osservazioni e posizioni razziste sono abbastanza numerose da avere una sua pagina Wikipedia, ha preso una linea dura sulle proteste, arrivando persino a minacciare di inviare i militari per reprimere i disordini. 

Secondo gli ultimi rapporti, almeno 9.300 persone sono state arrestate negli Stati Uniti durante le proteste in corso. Il coprifuoco è stato messo in atto e la Guardia Nazionale degli Stati Uniti è stata schierata in alcune città. Neanche la pandemia di coronavirus ha trattenuto i manifestanti a casa.

Il razzismo ha assunto molte facce drammatiche durante l’era coloniale in poi, allevandole nella sua forma più estrema di genocidi e schiavitù e nelle sue forme più sottili ma non meno pericolose come la segregazione e le leggi sull’immigrazione. Il razzismo ha scavato i suoi artigli in profondità e fintanto che la supremazia bianca sarà propagandata a livello governativo e istituzionale, Goerge Floyd non sarà l’ultima vittima afro-americana per mano della polizia. 

di Yahya Sorbello

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