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Colombia. Il processo di pace supera il primo step

Riccardo Pennetti

Pare aver intrapreso la giusta via della risoluzione il crudele conflitto che dal 1964 mantiene la Colombia in stato di agitazione e che ha provocato, secondo le stime più accreditate, circa 600.000 morti e 3,7 milioni di sfollati. Il sanguinoso confronto, accesosi per questioni relative allo sfruttamento della terra, ha come protagonisti da una parte le forze militari regolari e paramilitari (quest’ultimi assoldati per difendere gli interessi della ricca borghesia) mentre dall’altra le F.A.R.C. impegnate a lottare sia per la difesa delle popolazioni rurali (oppresse dalla borghesia detentrice del potere economico e politico), che a combattere il neo-imperialismo e l’influenza americana sulla politica colombiana nonché lo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle multinazionali straniere.

Da circa sei mesi pare che le parti siano realmente interessate a porre fine a questo stato di cose.

I lavori del processo di pace, inaugurati l’ottobre scorso a Hurdal (una località a 80 Km a Nord di Oslo, in Norvegia) sanciscono senz’altro un passaggio storico per la guerra civile colombiana, dal momento che le parti mai prima d’ora erano riuscite a costituire un tavolo che si impegnasse a discutere un accordo. Di tale ragguardevole risultato va dato merito senz’altro a entrambe le parti interessate ma, in particolare, vanno ammirati l’apertura e l’impegno profusi sia dall’attuale governo colombiano che dal suo Presidente Santos. Questi, in particolare, oltre ad accettare il dialogo con la guerriglia – rompendo in tal modo con le politiche di cesura seguite dai suoi predecessori – ha mostrato soprattutto una fervida voglia di giungere in tempi rapidi ad una pace definitiva, che ponga fine a mezzo secolo di guerra. Inoltre, non va dimenticata la preziosa opera di mediazione diplomatica messa in campo dal compianto presidente venezuelano Ugo Chávez il quale aveva fatto di tale impegno uno dei punti centrali della politica estera venezuelana.

Dopo sei mesi di lunghi colloqui pare essere finalmente giunti all’accordo sul primo dei cinque punti in agenda, quello relativo allo sviluppo rurale. In particolare, tale punto era sicuramente di  nevralgica importanza dal momento che circa mezzo secolo fa le Farc imbracciarono le armi proprio per le questioni relative alla terra. L’accordo, raggiunto dalle parti nei giorni scorsi a Cuba (sede prescelta per le trattative), si basa sostanzialmente su quattro pilastri fondamentali: costituire un Fondo per la terra, varare programmi speciali di sviluppo nei territori più sfavoriti, attuare politiche ad hoc per promuovere l’attività rurale e sconfiggere la povertà e, non ultimo, intervenire sulla questione della sicurezza alimentare. Nonostante sull’intesa siano stati diffusi pochi particolari – forse per non turbare il prosieguo delle trattative – parrebbe che le parti siano entrambe abbastanza soddisfatte dell’accordo, ciò denotando la buona salute dell’andamento della negoziazione. A tal proposito, è importante richiamare le affermazioni del Presidente Santos il quale, oltre ad insistere sulla necessità di un grande salto qualitativo per l’accesso e l’utilizzo della terra, ha chiaramente espresso che «se si vogliono invertire gli effetti del conflitto e impedire che si ripeta, occorre cambiare radicalmente le condizioni nei campi con una riforma rurale integrale». Non si tratterebbe, quindi, di distribuire terra in modo più equo, «ma di dare ai campesinos gli strumenti necessari affinché la stessa possa rendersi produttiva».

Superato il primo importante step, occorre ora concentrarsi sugli altri quattro punti negoziali. Essi prevedono la partecipazione dei membri delle Farc alla vita politica del Paese; la cessazione delle ostilità con la restituzione delle armi e l’integrazione dei guerriglieri nella vita civile; la lotta al traffico di cocaina con la sostituzione delle coltivazioni illegali e lo stop alla produzione e alla vendita di stupefacenti; la compensazione per le vittime del conflitto. Si tratta sicuramente di temi cruciali per il raggiungimento dell’accordo e, per tali ragioni, considerati incognite che potrebbero far naufragare il negoziato. Tuttavia parrebbe che le parti siano seriamente interessate a portare la negoziazione a termine e con profitto.

Una pace equa apporterebbe benefici sia al governo che alle popolazioni e potrebbe, senz’altro, segnare un’importante svolta politica per il Paese che potrebbe, a sua volta, tradursi in una maggiore collaborazione con i Paesi vicini e in un maggiore coinvolgimento nelle politiche di integrazione del sub continente.

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