Cinque palestinesi assassinati da Israele in 24 ore
Kilzar Al-‘Uweiwi, palestinese di 18 anni, è stata assassinata sabato scorso a Hebron dai militari di Israele e domenica si sono svolti i funerali di massa. L’autopsia ha rivelato che la ragazza è stata raggiunta da tre colpi di arma da fuoco; gomito, torace, polmoni fino al collo, a dimostrazione di un accanimento. Secondo parere medico Kilzar poteva essere salvata se non fosse stata lasciata sanguinare a lungo per terra.
Ieri, 14 febbraio, un 17enne palestinese è stato assassinato da un soldato di Israele nei pressi di un checkpoint a nord di Betlemme. La vittima si chiamava Naim Ahmad Yousef Safi. Non è ancora chiaro se il ragazzo sia deceduto a causa delle ferite riportate (perché lasciato sanguinare) o se sia morto sul colpo.
Quasi contemporaneamente un 15enne palestinese veniva assassinato a Jenin, nel nord della Cisgiordania. Anche in questo caso militari hanno dichiarato di essersi difesi da un tentativo di accoltellamento.
Eppure, puntualmente non si riportano feriti tra i soldati che di routine impediscono alla Mezzaluna Rossa di accedere ai luoghi degli “incidenti”.
Ieri è stata una giornata di sangue per gli adolescenti palestinesi anche a Gerusalemme dove due ragazzi sono stati assassinati nel medesimo format in cui hanno perso la vita Kizar e Naim.
170 palestinesi sono stati assassinati da militari e coloni di Israele da ottobre scorso. Nello stesso periodo 25 gli israeliani deceduti.
Gruppi per i diritti umani condannano la facilità con cui Israele impartisce l’ordine di aprire il fuoco contro i palestinesi anche quando essi non rappresentano alcuna minaccia reale. La maggior parte dei palestinesi infatti, sono freddati o lasciati agonizzare a morte perché sospettati di intenzioni omicide.
Hebron resta l’area di maggior attrito tra la popolazione e l’opprimente e impositiva presenza illegale di coloni israeliani. In queste dinamiche qui sono morti 40 palestinesi nell’ultimo mese del 2015.
A Hebron Israele ha “schedato” tutti i residenti palestinesi come unico presupposto per permettere loro di attraversare – quando riescono a proseguire vivi – gli oltre 20 checkpoint militari che chiudono la città.
Riferendosi all’oppressione e ai metodi della brutalità di Israele, anche Ban-Ki Moon, segretario generale Onu, aveva detto di recente che i palestinesi “reagiscono nella natura dell’uomo”.
di Redazione
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