Cecenia: tra il fanatismo wahhabita e la corruzione dell’oligarchia
La Cecenia è citata spesso, forse anche troppo, ma poco s’è detto con chiarezza della tragedia d’un popolo che continua ancora, e dei metodi che vi usa la Russia e i suoi fantocci.
È una piccola regione del Caucaso: 17.300 km quadrati (che variano a seconda delle rivendicazioni con i vicini) in gran parte montuosi, con una popolazione di circa 1,3 milioni che non riesce a crescere per la durissima situazione interna. Dal tempo degli zar è stata terra difficile per i russi, e il suo popolo, che è mussulmano, ha incarnato i pregiudizi (a dire il vero spesso giustificandoli) che la grande Russia aveva e più che mai ha sulla gente del Caucaso.
Nel ’91, alla dissoluzione dell’Urss, l’allora presidente Dudaev dichiarò l’indipendenza; nella confusione del momento Eltsin dovette abbozzare, ma nel ’94 con un pretesto scatenò una guerra per riaverla: la perderà rovinosamente dopo due anni, lasciandosi dietro oltre 100mila morti (soprattutto civili) e una piccola nazione totalmente devastata. Ma quelle violenze, quelle distruzioni, quegli stupri, avevano seminato il frutto avvelenato del fondamentalismo islamico e la folle idea dell’emirato del Caucaso.
Nel ’99, in seguito ai continui attacchi nel Daghestan voluti da Basayev, il nuovo capo militare ceceno che inseguiva il sogno della jihad, la Russia di Putin coglie l’occasione per saldare i conti, iniziando una seconda guerra sanguinosa quanto priva di regole, con orrori commessi dall’una e dall’altra parte. Nel 2009 dichiarerà chiuse le operazioni contro i separatisti (malgrado sporadici episodi di resistenza si manifestino anche dopo). La pace di Mosca è restaurata. Ma a che prezzo? Una nazione totalmente distrutta, asservita ai pretoriani assoldati con un fiume di rubli.
Nel 2003, infatti, viene eletto presidente Akmal Kadyrov, ex leader della guerra separatista e capo di un potente clan, assoldato a peso d’oro per “normalizzare” la situazione con le buone (comprando le alleanze) o con le cattive (eliminando brutalmente ogni opposizione). Certo, non dura troppo perché già l’anno successivo viene ucciso in un attentato, ma la via è ormai tracciata, fino a che nel 2006 diviene presidente Razman Kadyrov, suo figlio, che istaura una vera satrapia personale.
E veniamo all’oggi. Con la pioggia di denaro russo e i 7mila pretoriani personali (i famigerati kadyrovcy, intoccabili quanto onnipotenti, che girano su suv neri targati col nome del Presidente) il giovane Kadyrov (ha oggi 36 anni) si vanta sfacciatamente d’aver rimesso in piedi la Cecenia. Grattacieli scintillanti, la più grande moschea della Federazione Russa e la più grande meta d’investimenti della Russia meridionale. E chi se ne importa se sia il denaro sporco degli oligarchi! Se Kadyrov sia accusato di torture, rapimenti, sevizie, arresti illegali e omicidi! Se nelle prigioni illegali, tenute in tutta la Cecenia, secondo il Sunday Times l’ineffabile Presidente e la sua cerchia terrebbe harem di donne sequestrate, sistematicamente stuprate!
Inezie. Inezie che il 78% dei giovani, in una società fortemente clanica e legata alla sua terra, veda il suo futuro fuori della Cecenia; che persino Mosca (che ha interessi a far girare stime ottimistiche) veda la disoccupazione al 38% malgrado gli enormi capitali buttati nel Paese.
Tutto è sacrificato in nome della “sicurezza” (leggi repressione); ma malgrado l’asfissiante controllo, nel 2012 venivano segnalati 137 scontri armati in un Paese più piccolo del Veneto. E le truppe russe (presenti ancora con 11mila soldati) devono vivere confinate nelle basi, per evitare di divenire bersagli dell’odio della popolazione, lasciando il campo ai militari di Kadyrov, che superano le 12mila unità.
Il fatto è che il Presidente, oltre che brandire il bastone usa una carota allettante per chi è alla fame. Blandisce i mussulmani sufi della tradizione locale, in contrapposizione agli estremisti salafiti, che bolla come wahhabiti venduti agli stranieri. S’atteggia a difensore dell’Islam, costruendo moschee e sostenendo la shaaria, e vaneggia di divenire la guida dei mussulmani russi.
Ma più di questo è il fiume di denaro che Mosca ha riversato in Cecenia a sostenerlo: nel 2011 Groznyj ha ricevuto 80 mld di rubli sui 110,5 stanziati per tutto il Caucaso, nel 2012 68 e nel 2013, dopo la cancellazione del programma speciale per la Cecenia (a cui il Kremlino è stato costretto dalle proteste dell’opinione pubblica inferocita dallo sperpero), la piccola repubblica ha ricevuto ancora 51,3 mld di rubli. Per inciso sarebbero davvero tanti per un Paese così piccolo, con un reddito pro capite di 55.200 rubli (meno del poverissimo Daghestan) se arrivassero anche solo in parte alla popolazione. Inutile dire che, invece, il fiume di denaro alimenta una corruzione incredibile in un Paese alla fame; una corruzione che permette a tutti coloro che sono vicini al potere di ingrassare impunemente.
Ma l’impunità e la gestione della cosa pubblica come affare proprio non si ferma certo a questo; il Presidente trova modo di spillar soldi su ogni attività che passi per il Paese, come alla Rosneft (russa) e ai privati che impiantano raffinerie fai da te, per sfruttare il petrolio che è stato trovato.
La situazione generale è sempre più insostenibile e per frenare l’andazzo, malgrado Kadyrov si sia dimostrato un efficiente quanto spietato mastino del Kremlino nel Caucaso, il Comitato Investigativo della Federazione ha cominciato a lanciare accuse che hanno già portato a dimissioni eccellenti fra i protettori (e complici) del Presidente. Ma lui sa di non essere facilmente rimpiazzabile, e scemato il flusso da Mosca, ne ha aperti altri: la Golfo Royal Group degli Emirati investirà 2,35 mld di $ in progetti proposti da Kadyrov, e nuove trattative vengono intavolate con l’Arabia Saudita (suscitando il nervosismo del Kremlino), il Baharain e la Giordania, mentre ha già stretto un accordo con l’Azerbaigian per il “proprio” petrolio e ulteriori estrazioni.
Certo, ci sono i problemi con i vicini, Inguscezia in testa (di cui minaccia di annettere una gran parte), ma che importa? Finché sarà utile a Mosca è al sicuro, e potrà fare i suoi interessi come vuole.
Gli unici ad esser rimasti fuori dalla sua influenza sono i jihadisti ceceni, al momento “emigrati” in Siria. È gente che fa la guerra come mestiere e per far soldi, una delle pochissime possibilità in una realtà come quella. Certo, son pericolosi, e la paura è che ritornando possano riattizzare focolai dispersi; di questo si occupano già l’Fsb (il servizio di sicurezza russo, che è impegnato a eliminarli ad uno ad uno in Siria, prima che tornino a crear problemi) e i reparti di forze speciali, che si stanno già addestrando per l’evenienza.
Come si vede, quella della Cecenia è una realtà desolante quanto drammatica; una storia emblematica di cinismo, violenza, fanatismo e corruzione dei nostri tempi “civili”.