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Catalogna, affluenza record e vittoria a metà per gli indipendentisti

di Salvo Ardizzone

I Catalani hanno votato per l’Indipendenza dalla Spagna. Domenica si sono tenute le elezioni anticipate per il Parlamento regionale della Catalogna, ma il Presidente uscente della Generalitat, Artur Mas, le ha trasformate in un plebiscito per la secessione dalla Spagna.

In una votazione che ha registrato un’affluenza record, il 77,40%, di quasi 10 punti superiore a quella del 2012, la piattaforma indipendentista “Junt pel Si”, costituita da formazioni di destra e di sinistra unite nel progetto secessionista, ha ottenuto 62 seggi; i radicali di sinistra della Cup, anch’essi per il distacco dalla Spagna, 10: insieme, con 72 seggi su 135, costituiranno un Governo che, secondo i programmi, entro 18 mesi dovrebbe condurre alla secessione.

I partiti nazionali sono usciti stritolati dalla prova: i socialisti hanno raccolto 16 seggi, i Popolari del Premier Rajoy addirittura 11; come secondo partito, con 25 seggi, s’è affermato Ciudadanos, una formazione di destra nata per contrastare la secessione e proteggere gli interessi del ceto borghese. Per Mariano Rajoy è stata una sconfitta bruciante, che peserà parecchio nelle elezioni nazionali di fine anno e stimolerà la voglia di secessione mai sopita di Paesi Baschi e Navarra.

Adesso però, dopo una vittoria annunciata che ha riempito di bandiere stellate le vie di Barcellona, si apre una via che è e sarà difficile. Intanto la Catalogna resta spaccata: solo un elettore su due ha votato per l’Indipendenza, e questo non per l’attaccamento a Madrid, tutt’altro, ma perché è il processo di secessione ad essere per nulla chiaro.

Artur Mas rischiava di rimanere travolto da una marea di scandali e da una gestione dell’economia tutt’altro che efficiente (la Catalogna ha 66 Mld di debito); cavalcando la voglia d’Indipendenza del Popolo catalano s’è rimesso in sella, anche se, secondo accordi preelettorali, alleandosi con il Cup dovrà rinunciare alla Presidenza.

Il fatto è che non è stato compiuto alcuno studio serio sul percorso, affidando tutto all’entusiasmo e all’improvvisazione; secessione, quando si riuscirà a vincere le furiose resistenze di Madrid (che perderebbe il 19% del Pil e il 25% delle esportazioni, oltre a un saldo netto di tassazione di diversi miliardi), significa trovarsi fuori dall’Euro e dall’Europa, senza una moneta e con un sistema bancario e finanziario in fuga. Inoltre significa pure creare dal nulla un sistema di sicurezza e rendere autonoma la propria rete di servizi.

Nulla di tutto ciò è stato fatto e neanche abbozzato. E neppure programmato. E poi, non è stato neppure studiato il dopo: si dice che dovrà aderire alla Ue e mantenere l’Euro, quando anche i bambini sanno che l’adesione non è automatica, le procedure sono terribilmente lunghe e comunque la Spagna porrà ovviamente il suo veto.

La sacrosanta istanza di libertà dei catalani rischia di scontrarsi con la completa inadeguatezza di una classe dirigente improvvisata che, con tutta probabilità, vista l’estrazione così eterogenea, comincerà a dividersi dal giorno successivo alla vittoria facendo la felicità di Madrid.

È la maledizione dei nostri giorni: a intercettare la voglia di riscatto e cambiamento dei Popoli sono gruppi dirigenti troppo spesso opportunisti e impreparati, capaci di agitare solo slogan e parole d’ordine, ma non articolare programmi coerenti. Il risultato è insterilire forze potenti, che potrebbero cambiare davvero un mondo senza sbocchi, asservito ai potentati di sempre.

È già accaduto tante, troppe volte, in Italia coi 5 Stelle, in Grecia col bluff di Syriza. Speriamo solo che non debba ripetersi in Catalogna.

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