Caso Regeni, un muro di gomma e complicità
Il Caso Regeni si arricchisce dell’ennesima pagina nefasta; Amal Fathy, un’attivista egiziana che si è battuta per cercare di arrivare ad una verità scevra da menzogne è stata arrestata giorni fa dalle autorità egiziane; non appena la notizia è giunta alle orecchie dei genitori di Giulio Regeni, la madre di Giulio, Paola, ha intrapreso un’azione di protesta insieme all’avvocato Alessandra Ballerini che in staffetta attueranno lo sciopero della fame per chiedere l’immediata liberazione dell’attivista.
Amal Fathy non è una donna qualunque, moglie di Mohamed Lofty, direttore esecutivo della Ong Ercf impegnata nel sostenere la battaglia della famiglia Regeni nella ricerca della verità su quanto accaduto al giovane ricercatore italiano trovato morto nel Febbraio del 2016. In una breve nota per spiegare il perché del gesto, Paola Regeni e Alessandra Ballerini si dicono particolarmente turbate ed inquiete per il protrarsi della detenzione di Amal e ribadiscono che nessuno deve più pagare per la nostra legittima richiesta di verità sulla scomparsa, le torture e l’uccisione di Giulio. Una iniziativa per la quale Paola e il legale chiedono il sostegno di tutti: “Vi chiediamo di digiunare con noi, fino a quando Amal non sarà finalmente libera. Noi siamo la loro speranza”.
Dall’Egitto non arrivano informazioni certe, ma dei tasselli scarni che formano un mosaico di difficile interpretazione: secondo le fonti ufficiali la moglie del consulente legale della famiglia Regeni sarebbe stata fermata dalla Sicurezza egiziana dopo che la donna aveva pubblicato un post abbastanza duro su Facebook, secondo la quale vi si leggerebbe un fantomatico appoggio al terrorismo, ma le cose non stanno così in quanto il provvedimento preso dalla Sicurezza Nazionale tradirebbe un certo nervosismo in quanto si sarebbe vicini a conoscere i responsabili delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni, ergo la Ong ha lavorato bene ed è giunto il momento di fermare tutto.
Non è un caso che l’accusa mossa sia quella di terrorismo, un reato per la quale in Egitto è prevista una pena che può andare dall’ergastolo alla pena di morte; questa vicenda fa il paio con le altre inquietanti già avvenute e tutte contraddistinte da morti innocenti, insabbiamenti e perturbanti silenzi della politica e della diplomazia che non hanno avuto mai né la reale intenzione né la forza per imporsi in modo netto.
Il muro di gomma del caso Regeni
I genitori di Giulio Regeni si sono mossi subito denunciando quanto accaduto all’attivista e le parole di denuncia non lasciano dubbi: “Il nostro primo pensiero non può che andare ad Amal, alla sua famiglia ed alla sua libertà che rimane oggi la questione prioritaria. Come anche alla libertà in Egitto, quella stessa libertà che è stata tolta a Giulio, rapito, torturato e ucciso senza che ancora oggi si conosca la verità sui responsabili. Ma oltre a questo ci pare importante denunciare il sostanziale stato di intimidazione e di pericolo per chi in Egitto aiuta nella difficile ricerca di verità e giustizia. Un ulteriore elemento inaccettabile che si unisce a tutte le difficoltà e gli ostacoli materiali che la difesa della famiglia Regeni sta trovando.
Anche questa volta a rompere il muro del silenzio sono le parole dei genitori del giovane ricercatore italiano che stridono rispetto al silenzio della politica che mira a far dimenticare quanto accaduto, attuando quello che in sociologia viene definito il meccanismo della non scelta; impossibile però per i genitori di Regeni non scegliere, il coraggio e la determinazione di Paola Deffendi e dell’avvocato Alessandra Ballerini dovrebbero essere d’esempio per la pusillanimità dei politici italiani.
di Sebastiano Lo Monaco