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Carceri israeliane against the law

di Alessandra Felici

Oltre 800mila palestinesi sono stati detenuti da Israele, dall’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967, tra di loro anche circa 10.000 donne. Si tratta del 20% dell’intera popolazione palestinese, del 40% della popolazione maschile. Le detenzioni, in barba alle convenzioni internazionali, non risparmiano i bambini: oltre 8000 ne sono stati arrestati dal 2000 ad oggi.  Se è vero che non esiste pace senza giustizia, non si può tacere sulle violazioni dei diritti umani perpetrate da Israele sul popolo palestinese. Per questo, in occasione della giornata del detenuto palestinese che si è celebrata mercoledì 17 aprile in tutto il mondo, la Rete Romana di solidarietà con il popolo palestinese ha pubblicato un dossier per far luce su un tema troppo spesso taciuto. Uno studio fatto di numeri, di testimonianze, di riflessioni sull’impunita violazione delle convenzioni internazionali.

I procedimenti di arresto e di successiva detenzione, si basano su di una vasta gamma di “regolamenti militari”, la gran parte dei quali illegali secondo il diritto internazionale.

I diritti delle persone e dei popoli, così come la loro tutela, hanno le loro fonti a livello internazionale sia in strumenti giuridicamente non vincolanti ma di fatto eticamente e politicamente riconosciuti, che in strumenti giuridicamente vincolanti.

Tuttavia, affinché  “principi” e “norme” trovino effettiva applicazione la forza del diritto non basta, necessaria è una forza che ne imponga il Rispetto. Ciò a livello internazionale dipende da un intreccio di convenienze, di equilibri e di alleanze che assai spesso falliscono. Il caso del popolo palestinese, e non solo quello, lo attesta senza equivoci.

Tra gli strumenti giuridicamente non vincolanti spicca, in assoluto, la Dichiarazione Universale del Diritti Umani, cui fanno seguito numerose “risoluzioni” approvate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite rimaste troppo spesso inascoltate, come tutte quelle riguardanti il conflitto in questione. D’altro canto, numerose sono le convenzioni internazionali giuridicamente vincolanti a livello internazionale, dalla Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

Posto ciò, l’esistenza del Diritto e delle sue norme non turba minimamente Israele, che le viola sistematicamente, in diversi modi: con l’arresto indiscriminato anche di minori, con gli attacchi alla popolazione civile e la distruzione delle infrastrutture; le viola con la negazione di un giusto processo; le viola attraverso la “detenzione amministrativa” che gli permette di trattenere i detenuti a tempo indeterminato, sulla base di “informazioni segrete” senza accusa o processo. Le calpesta, infine, con la pratica sistematica dell’isolamento e della tortura.

Difficile non considerare, inoltre, i numerosi leader politici palestinesi regolarmente arrestati e detenuti in base ad una deliberata strategia volta a strangolare i loro sforzi per raggiungere la sovranità politica e l’autodeterminazione. Secondo le  leggi internazionali ed israeliane nessuno può essere incarcerato per le proprie opinioni politiche. Tra i leader detenuti a tutt’oggi ci sono 47 membri di Hamas, membri del Consiglio Legislativo Palestinese e alcuni ministri, sindaci e consiglieri comunali di diverse città della Cisgiordania. Tra le figure di maggior peso ancora detenute vi sono Marwan  Barghuti, leader di Fatha e Ahmad Sa’adat, leader del FPLP.

Per ribellarsi a questo stato di cose, la lotta non violenta attraverso l’astensione dal cibo appare l’unico strumento praticabile dai detenuti palestinesi per richiamare l’attenzione del mondo. Nel febbraio del 2012 circa 1.800 prigionieri palestinesi iniziarono uno sciopero della fame di massa per protestare contro la pratica della detenzione amministrativa, i divieti di visita dei famigliari, l’uso dell’isolamento, la scarsa assistenza medica. Quattro degli scioperanti trascorsero più di due mesi senza cibo. Il 14 maggio fu annunciata la fine dello sciopero, in seguito al raggiungimento di un accordo con le autorità israeliane, sottoposte finalmente ad una forte pressione internazionale, con la mediazione dell’Egitto e della Giordania. Secondo l’accordo Israele accettava di limitare la detenzione amministrativa, di concedere visite ai famigliari e di porre fine alla pratica dell’isolamento. La resistenza non violenta aveva vinto. Ciò nonostante, dopo che i riflettori sui prigionieri si furono spenti, in seguito al rilascio in cambio del soldato israeliano Shalit, Israele non ha esitato a sconfessare l’accordo: la detenzione in isolamento continua ancora, così come i raid notturni nelle celle e le condizioni igieniche delle prigioni non sono migliorate. A rischiare la vita in questi giorni è Samer Issawi, giunto all’ottavo mese di sciopero della fame.

Video:http://www.youtube.com/watch?v=18crUtn_1Lo&feature=youtube_gdata_player

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