Caporalato e sfruttamento del lavoro femminile
Il caporalato in Italia è una delle forme di sfruttamento lavorativo più presenti e più utilizzate. In Italia lo sfruttamento di uomini, donne e minori, avviene in maggior parte nel settore dell’agricoltura. Altri settori che vedono svettare il caporalato sono: l’edilizia, i servizi domestici ed il settore alberghiero.
Tutto questo è stato ricordato in occasione della ricorrenza del 2 Dicembre. Data che è stata fissata dall’Assemblea generale delle Nazioni Uniti per ricordare la convenzione, approvata il 2 Dicembre del 1949, per la repressione dello sfruttamento del traffico di esseri umani.
Nonostante tutto, però, nè la schiavitù nè il caporalato hanno cessato di esistere. Soprattutto in Italia dove c’è un’alta concentrazione di sfruttamento lavorativo che rasenta la schiavitù. Dai dati Eurosat, raccolti tra gli anni 2010-2012, la popolazione più colpita in tutti i Paesi europei risultava essere quella rumena. Parliamo di uomini e donne che vengono sfruttati in modo becero e barbaro.
Questa situazione si lega, in modo indissolubile, alla mancanza di alternative valide di lavoro e di sussistenza. Il confine tra sfruttamento lavorativo e schiavitù, diventa così sempre più labile.
In Italia, il fenomeno del caporalato è una delle piaghe più sanguinose in quanto si installa nelle immense problematiche presenti nel mondo lavorativo italiano. La maggior parte delle persone sfruttate sono donne straniere, ma si è scoperto di altrettante italiane che vengono trattate alla stregua delle bestie da soma, pagate, quando questo avviene, con cifre che non superano i 30 euro per dieci ore lavorative passate sotto il sole ed in mezzo ai campi. Si è scoperto che le donne sono sempre più presenti, in quanto, vengono preferite agli uomini perché pagate ancora meno.
Lo sfruttamento delle donne, nelle serre del ragusano, ad esempio, è un fenomeno endemico, fisiologico in quella tipologia di settore. La via d’uscita c’è e sarebbe quella di aggredire il sistema, ma lo dovrebbe fare la politica. Il punto successivo è che la politica italiana ha ben altri pensieri per la testa. Salire e scendere dal Colle per riformare un governo fantoccio, con le stesse facce che si presentano come se non fosse successo nulla e che, anzi, vengono anche promosse in ruoli di maggior prestigio.
Il tutto mentre il mondo del lavoro si sostiene sull’indegno utilizzo dei voucher. Sull’altra follia del Jobs Act, che ha portato i licenziamenti disciplinari a +28% nei primi otto mesi del 2016. Una scelta indegna e abietta che solo in un pollaio come l’Italia si poteva, non solo pensare, ma anche promuovere come qualcosa di innovativo. Non a caso i dati del lavoro durante il governo Renzi erano del tutto inattendibili visto l’utilizzo pornografico di questi “tagliandini”. Il tutto compromettendo la professionalità e la dignità di chi si trova, costretto, ad accettare certe tipologie di trattamenti.
Nel mondo del caporalato, secondo i dati della Flai Cgil, le donne italiane sfruttate, nelle tre regioni a maggior vocazione agricola (Puglia, Campania e Sicilia), sono almeno 60mila. Numeri da far tremare le vene ai polsi e da far sprofondare in una pozzanghera di fango chi dovrebbe evitare tutto questo. Il numero delle italiane è in vertiginosa crescita rispetto a quello delle straniere. Il che dovrebbe far riflettere. Nella sola Puglia se ne contano circa 40mila.
Vi sono state varie denunce, vari libri di autori coraggiosi hanno messo il dito nella piaga ma a poco è servito. La situazione non è migliorata e va, come abbiamo visto, a peggiorare. Soprattutto a causa delle scelte malsane, scriteriate, incompetenti e sadiche di chi si occupa delle riforme del lavoro dei vari governi, uscenti ed entranti. Governi che promuovono un lavoro a basso costo, senza competenze e senza meritocrazia. Con la situazione economica delle famiglie, quelle del sud in modo particolare, che portano nelle braccia dei caporali, gente che è costretta a sacrificare la propria dignità se non, in certi casi, anche la propria vita, per avere una qualche forma di guadagno.
Dati forniti dall’Ilo, rivelano che il guadagno illegale, grazie al caporalato ed al lavoro forzato di 21milioni di persone, genera profitti annuali di oltre 150 milioni di euro. Il famoso “sommerso” che, affermava un capo del governo giullare e pregiudicato, durante una conferenza stampa, di portare avanti il Paese. Infatti, così è ma c’era e c’è poco da ridere a dirlo. Soprattutto se sei il capo di un governo e soprattutto se la nazione che gestisci è quella che, più di tutte, subisce questa vergogna. Questi, come lui anche gli altri che sono venuti, dovrebbero abbattere il caporalato?
Eppur vero che esiste una legge contro il caporalato. Si raccolgono prove, testimonianze ma il problema è che dimostrare questi crimini è una cosa molto difficoltosa in quanto si entra nella paura di perdere quel “lavoro”, si entra nella vergogna e nella paura del giudizio sociale, che in Italia è sport nazionale. Quando qualcosa si è riuscito a fare, cambiare il padrone non è bastato a smantellare lo sfruttamento perché il caporalato è compiuto da altri che controllano e compiono abusi sulle donne.
Ci sarebbe un urgente bisogno che le istituzioni si attivassero. Quelle stesse istituzioni che ti vessano quando hanno un loro interesse da raggiungere, quelle stesse istituzioni ignoranti, disattente, vane, sciatte e bieche quando è il cittadino ad accorrere da loro per un bisogno. Si dovrebbe lottare per cambiare le menti di chi dovrebbe adoperarsi per risolvere le problematiche.
Cambiare le menti, cambiare le regole, cambiare soprattutto la parte emotiva, la tanto declamata educazione sentimentale che, in nazioni civili e degne di questo appellativo è realtà nelle scuole, in Italia è ancora trattata come un qualcosa di astruso. Il punto è che oltre alla scuola, per combattere la visione maschilista della vita, andrebbe insegnata anche nelle aule del parlamento. In modo tale da far toccare con mano a chi si pasce nei velluti, cosa prova chi è costretto a svendere la propria vita e dignità. Ma siamo lontani da tutto ciò.
di Sebastiano Lo Monaco