Canada, il carcere una bestemmia contro Madre Terra
“La situazione degli istituti carcerari canadesi sta traducendosi in un grande sovraffollamento e uso eccessivo di segregazione, in quanto la criminalità è in aumento, come testimoniano gli organi di stampa”. E’ questa la preoccupazione espressa recentemente da Howars Sapers, Correctional Investigator del paese, aggiungendo che la pratica dei detenuti segregati è diventato più uno strumento di gestione della popolazione che uno strumento di gestione del rischio. Questo avviene quando i dati appena rilasciati dal Servizio correzionale del Canada hanno mostrato che il numero dei detenuti messi in isolamento è aumentato vertiginosamente negli ultimi dieci anni.
Secondo i dati, nel 2003-2004 ci sono stati 7.137 ammessi alla segregazione, nel 2012-2013 il numero è salito a 8.221, soprattutto nelle provincie di Ontario, Quebec e Pairies. All’inizio di quest’anno, Sapers ha emesso un rapporto urgente chiedendo l’impegno del governo del primo ministro Stephen Harper, per affrontare il numero sproporzionato di aborigeni nelle carceri del Canada, dove in alcuni istituti penitenziari, i due terzi dei detenuti sono aborigeni.
Nel frattempo, gli esperti dicono che il cosiddetto “pugno di ferro contro il crimine” nell’agenda del governo Harper è stato modellato per consentire la creazione di un complesso nazionale carcerario-industriale come quello degli Stati Uniti.
Il moderno complesso industriale carcerario continua a suscitare l’opposizione degli abolizionisti in tutto il mondo. Gli abolizionisti del carcere o del sistema penale, come gli abolizionisti della schiavitù prima di loro,vogliono rendere obsoleta un’istituzione che la maggior parte delle persone – comprese molte di sinistra – considerano come un dato di fatto inevitabile della società umana. In realtà siamo testimoni dell’ascesa transnazionale del complesso industriale carcerario.
Il problema non è certo nuovo in Canada se nel 2006 in una intervista ad attivisti (dentro e fuori del Canada) Julia Sudbury, professoressa di Studi etnici al Mills College di Oakland in California, curatrice del libro Global Lockdown: Race, Gender and the Prison-Industrial Complex (Routledge 2005) e autrice di numerosi libri e articoli sull’attivismo delle donne e sul carcere femminile, poteva dichiarare: “L’incarcerazione è diventata uno strumento chiave nel consolidamento delle politiche neo-liberali, ha infettato il capitalismo globale e l’Impero statunitense. Il nostro impegno come attivisti impegnati a un livello locale è di identificare i modi in cui, per fare un esempio, la costruzione di un super-carcere per minori a Brampton, nell’Ontario sia profondamente connesso al nuovo carcere di guerra Usa da 30 milioni di dollari proposto a Guantanamo. Rappresentano le due facce di una guerra interna e di una guerra esterna: l’uso complementare dell’aggressione militare e del potere di Stato per consolidare un ordine mondiale dominato dalle elite politiche e capitaliste. Svelare questi legami ci aiuta a comprendere come il nostro impegno locale possa contribuire a una più ampia giustizia globale e a un movimento antimperialista”.
Noi ci limitiamo a ricordare una frase di un vecchio Anishnaabe, solito dire che il carcere è una bestemmia contro Madre Terra. Estendiamo questa intuizione ben oltre per capire come il carcere è l’esempio più evidente di ciò che non funziona in questa società. Sarebbe a dire l’esercizio del potere sugli altri e il fallimento di trattare gli altri con rispetto e umanità. Tristemente queste cose diventano ancor peggiori quando ci sono di mezzo le differenze di classe, razza e genere.