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Cambiamento di strategia in Arabia Saudita, tra cieco fanatismo e ossessione di potere

di Salvo Ardizzone

Nel febbraio scorso, in Arabia Saudita, è avvenuto un evento sottovalutato da molti osservatori: il siluramento del principe Bandar bin Sultan, da sempre a capo dell’intelligence saudita e artefice di tutti gli intrighi del Golfo, e la sua sostituzione col principe Mohammed bin Naief, esponente della terza generazione della famiglia reale, che dopo essersi guadagnato sul campo notorietà come vice ministro per la sicurezza, ha sempre dato prova di pragmatismo e duttilità negoziale. 

Bandar era esponente di punta della seconda generazione della famiglia reale, caratterizzata da un’ottusa visione conservatrice e radicale, anzi, lo strumento attraverso cui essa ha articolato tutta la sequela di destabilizzazioni e guerre per procura che hanno insanguinato, e più che mai lo fanno ancora, tutto l’arco di mondo che va dalla Libia, al Caucaso, alle montagne afghane. La decisione della sua esautorazione è maturata in seguito alla fallimentare gestione delle sue iniziative; in particolare, è stata la strategia adottata in Siria a far traboccare il vaso: quel disgraziato Paese, con la guerra che vi è stata indotta proprio dal Golfo, costituisce lo Schwerpunkt, il punto critico, di tutta la trama destabilizzatrice messa in piedi dai wahabiti. 

Il Principe vi ha speso somme immense, sovvenzionando e armando indiscriminatamente formazioni jihadiste, nella convinzione di indurre gli Stati Uniti (pressati dalle lobby con cui aveva rapporti antichi) e la Francia (prezzolata con pingui contratti di forniture militari) ad attaccare al-Assad, determinandone il collasso, e facendo trionfare gli elementi che riteneva di poter controllare. Come si sa, le cose andarono diversamente: l’attacco non avvenne e i contrasti hanno pericolosamente incrinato i rapporti con gli Usa; al-Assad sul campo è in ripresa e i gruppi armati, ormai strutturati e potenti, hanno cominciato a sottrarsi alla tutela saudita, alcuni, vedi Isil, seguendo una propria agenda di convenienza e potere. Questo clamoroso fallimento, unito ai pessimi risultati di tutte le altre crisi dell’area malgrado il fiume di dollari impiegato, il logoramento dei rapporti con gli Usa e la paura che essi si ritenessero con le mani completamente libere nel riavvicinarsi con Teheran, hanno segnato la svolta. 

La nomina di Mohammed bin Naief, nelle intenzioni della casa regnante, vorrebbe costituire un cambio di strategia; il Principe, che vanta ottimi rapporti con gli Usa, dovrebbe ricucire i legami con gli Stati Uniti; egli suggerisce di indirizzare gli aiuti su quei gruppi che si ritiene di poter meglio controllare, ma Washington è consapevole che sul campo ciò è praticamente impossibile, inoltre sa bene che dal Golfo proviene un continuo e massiccio flusso di aiuti alle formazioni più radicali; esso non deriva direttamente dalla casa reale ma dai ricchissimi ambienti ad essa legati, pervasi da quell’ottusa visione conservatrice tipica del wahabismo più radicale, ed è necessariamente tollerata dal Governo per salvaguardare i delicati equilibri interni di quel sistema.  

L’ambiguità di questo comportamento è evidente, ma ci sono ulteriori segnali che Re Abdullah, ormai anziano e malato, o chi gli è più vicino, intenda gestire la sua prossima successione emarginando progressivamente la gran parte degli appartenenti alla seconda generazione, sordi ad ogni cambiamento e convinti di dover combattere con ogni mezzo sia gli Sciiti che la Fratellanza Musulmana. Infatti, contemporaneamente alla nomina di Naief, è stato notevolmente incrementato il peso politico e decisionale del principe Miteb bin Abdullah, figlio del sovrano e al comando della Guardia Nazionale Saudita, di fatto divenuta il più efficiente apparato militare per il controllo e la difesa del Regno. Inoltre, il 27 marzo, il principe Muqrin è stato nominato secondo in linea di successione a Re Abdullah, dopo il principe ereditario Salman. Muqrin, pur appartenendo alla seconda generazione, rappresenta l’elemento di cerniera con quella successiva, dove ha i legami politici e le alleanze. In tal modo, la cerchia ristretta della Corte tenta d’assicurare una successione incruenta, estromettendo di fatto la seconda generazione, fra cui solo Salman (come detto Principe ereditario) e Muqrin condividerebbero l’esigenza d’un cambiamento della rigida quanto fanatica ortodossia fin’ora professata dalla Corte. 

I nemici di questo cambiamento sono numerosi quanto potenti; il Paese è pervaso da un’autentica ossessione maniacale nei confronti dell’Iran (e delle formazioni sciite) e dei movimenti islamici progressisti come la Fratellanza Musulmana, considerate minacce mortali al mantenimento del wahabismo e della Monarchia (e degli immensi privilegi del pugno di famiglie che controllano il potere).

Al contempo, fra i componenti della seconda generazione tale ossessione è aumentata dalla constatazione che la presa di Riyadh sul Consiglio delle Monarchie del Golfo vacilla, sempre più minata da posizioni divergenti nei confronti dell’Iran, della Fratellanza e della guerra in Siria, come degli altri fronti di crisi aperti. Il conflitto che si delinea è fra le posizioni della seconda generazione, che fin’ora hanno determinato la politica saudita, dimostratasi nei fatti fallimentare, e quelle maggiormente pragmatiche e flessibili della terza generazione, chiamata anzitempo a gestire la situazione, per rimediare ai troppi disastri compiuti dai predecessori. 

Un ammorbidimento verso l’Iran, un progressivo disimpegno dal mattatoio siriano (come detto punto critico di tutta l’area), un contenimento dell’appoggio sotterraneo alle bande sanguinarie che imperversano nel mondo con la scusa bugiarda di una folle jihad, un’apertura ai diritti umani e alle minoranze sciite; saranno tutti banchi di prova e di scontro fra le due generazioni; fra il cieco fanatismo di chi non vuole cedere nulla dei propri immensi privilegi e il pragmatismo di chi, dinanzi al mutare del mondo, si vuole mostrare duttile per non perderli del tutto. Il cambiamento, se ci sarà, non avverrà a breve; sarà il tempo a dire chi saprà prevalere.  

   

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