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Calabria, terra di ‘ndrangheta e veleni

Nel triangolo fra San Luca, Platì e Africo, sulla costa ionica della Calabria, il controllo della ‘ndrangheta è completo. Nessuno ne parla, nessuno la nomina, come anni fa accadeva con la mafia in certi paesi siciliani. Ma in quel pezzo di terra, ormai da anni, sta accadendo qualcosa che sta costringendo la gente a scuotersi, qualcosa più forte della paura degli uomini delle ‘ndrine.

Ad Africo, un piccolo paese di circa 3mila abitanti, non c’è famiglia che non abbia lutti o malati di cancro, tanti, incredibilmente troppi, e dalla coltre dell’omertà son cominciate a filtrare voci che parlano di fusti zeppi di sostanze tossiche interrati nella fiumara che dall’Aspromonte corre al mare, o in una grande cava vicina. Voci raccolte da un’associazione nata da quei lutti, da quelle sofferenze, si chiama “Articolo 32” e ha cominciato a battersi per la giustizia in una terra che di giustizia non ne ha mai avuta.

La vicenda di quel triangolo maledetto è nota al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Cafiero Di Raho che ha combattuto i casalesi e indagato sulle vicende della “Terra dei Fuochi”, per intraprendere una lotta troppo spesso trascurata da chi avrebbe dovuto combatterla. Ma la Calabria è terra diversa dalla pur martoriata Campania. La ‘ndrangheta è riconosciuta la mafia più potente e ricca che esista e fin’ora ha avuto pochi, pochissimi pentiti, che la raccontassero dall’interno. Nel traffico di rifiuti tossici è stata una pioniera, realizzando utili enormi ed esportando l’attività in mezzo mondo, grazie alle proprie enormi capacità finanziarie e di intimidazione.

Calabria tra inchieste e complicità

Di questa storia ne ha fatto una battaglia Nuccio Barillà, responsabile di Lega Ambiente di Reggio Calabria, che da molti anni continua a denunciare e a tener viva l’attenzione su quegli sfacciati traffici criminali. Secondo il suo racconto, nel ’92 il Sisde produsse una serie di rapporti su un traffico di rifiuti tossici da parte di alcune ‘ndrine della zona, in testa quella dei Morabito di Africo, che in cambio ne ricevevano grosse forniture di armi da guerra (di qui l’interessamento dei servizi).

Sotto la spinta di Lega Ambiente, nel ’94 parte un’inchiesta. Gli organi inquirenti chiedono all’Aisi (che ha sostituito il Sisde) di fornire le informative riservate e la documentazione a supporto delle stesse, ma i nuovi vertici, con un certo imbarazzo, non ne trovano traccia. L’inchiesta viene così archiviata nel 2001 per mancanza di quei documenti che, in teoria, sarebbero stati trasmessi all’epoca ai Carabinieri del Ros.

Grazie alla testardaggine di Lega Ambiente, nel 2013 viene istituita una commissione d’inchiesta bicamerale. Stavolta, con sorpresa di molti (e grande imbarazzo dei vertici dei servizi), le vecchie carte del Sisde saltano fuori e su di esse ripartono le indagini, anche da parte della Dda, per fare luce sull’intreccio.

Anche se con troppi anni di ritardo (il ’94 è vergognosamente lontano), a noi non resta che augurare la migliore fortuna a Di Raho, Lombardo e Gratteri, i magistrati in prima fila nella battaglia contro la ‘ndrangheta.

di Salvo Ardizzone

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